Vite bruciate dalle slot. Una piaga da sei miliardi l’anno
(Articolodi Arianna Giunti tratto dal sito http://espresso.repubblica.it/inchieste/2013/11/19/news/vite-bruciate-alle-slot-una-piaga-che-costa-allo-stato-sei-miliardi-l-anno-1.141480 del 19 novembre 2013)
Alfredo indossa un cappellino per non farsi riconoscere. E’ stato dimesso una settimana fa dall’ospedale. Aveva giurato ai figli che non ci sarebbe ricascato e invece oggi è di nuovo davanti a una slot machine, irriducibile, a sfidare il suo destino. Ogni tanto prende una pillola bevendoci dietro un bicchier d’acqua. Calma la sua ansia, dice. Ma non la sua febbre da gioco.
L’INCHIESTA COSI’ MI GIOCO LA PENSIONE
A Michele va anche peggio. La crisi gli ha mangiato l’unica attività commerciale con la quale manteneva la famiglia. Non è neanche riuscito a far affidamento sui risparmi perché se li è bruciati con il poker on line. La moglie lo ha messo alle strette: o me o il gioco. E dopo un brevissimo periodo in cura al Sert per “disintossicarsi”, Michele ha scelto ancora una volta il gioco.
Pensionati, imprenditori, negozianti, casalinghe. I numeri sono trasversali a ogni classe sociale e area geografica. Secondo gli ultimi dati elaborati dal Cnr e dell’Eurispes aggiornati a fine 2013 i giocatori patologici in Italia oscillano fra i 900 mila e un milione con un crescita del circa 24% rispetto a un anno fa. Quelli a rischio patologia, invece, sono due milioni. Mentre più in generale, secondo i ricercatori, gli italiani che giocano d’azzardo sono arrivati a 36 milioni. Un dato impressionante, se si pensa che – stando all’ultimo censimento realizzato dall’Istat – nel nostro Paese si contano in tutto 59 milioni di persone.
Una piaga che brucia vite e famiglie e che vanta costi non indifferenti anche per lo Stato. Si parla di quasi sei miliardi di euro all’anno di spesa sociale. Per questo nelle prossime settimane la commissione Affari Sociali della Camera cercherà di stendere con procedura d’urgenza un testo unico per regolamentare il gioco d’azzardo che potrebbe includere alcune novità importanti: prime fra tutte, l’introduzione di un numero verde di “soccorso” attivo 24 ore su 24 rivolto ai familiari dei giocatori per tutelare i loro beni immobiliari e finanziari, il gratuito patrocinio dello Stato e interventi che possono arrivare fino all’interdizione e l’inabilitazione del giocatore in caso di ludopatia particolarmente acuta e infine la figura di un amministratore di sostegno. Proprio come succede con i tossicodipendenti.
Perché, in effetti, la differenza fra chi è dipendente da una sostanza stupefacente e il gioco d’azzardo è ben poca. Lo sanno bene nei Sert delle Asl regionali, dove vengono curati molti dei giocatori patologici.
Un numero in continua crescita nelle città italiane, tanto che il personale medico non ce la fa a stare dietro all’emergenza. A Milano, ad esempio – fanno sapere dal Dipartimento dipendenze – nel 2013 i pazienti sono saliti a 296, fra nuovi arrivi e quelli presi in carico dall’anno precedente. In tutta la Lombardia sfiorano quota mille e cinquecento.
A Roma, secondo l’ultima indagine della Funzione Pubblica della Cgil, i giocatori sarebbero aumentati del 700% e quelli in cura per la dipendenza sono più di quattrocento. Anche a Torino, secondo l’Osservatorio Epidemiologico Dipendenze del Piemonte si registra un forte aumento: dal 2011 a oggi sono cresciuti del 400%. Quelli in cura nel singolo capoluogo piemontese sono 718, mentre sono 1.186 in tutta la regione, con nuovi arrivi che si registrano quasi ogni settimana. Fra di loro si nota un piccolo aumento di donne. Mentre le associazioni a tutela dei giocatori anonimi continuano a proliferare in tutta Italia.
Un identikit assoluto di questi “malati”, però, non esiste. Anche se dando un’occhiata ai dati stilati dagli osservatori dipendenze dei Sert regionali viene fuori che i giocatori patologici sono in maggioranza uomini (67%), italiani (84%) di un’età che oscilla fra i 40 e i 59 anni e che finiscono in cura su suggerimento dei familiari più stretti, stremati dalle continue richieste di denaro o peggio ancora finiti in guai finanziari senza essersene resi conto.
“Il problema è soprattutto sociale”, spiega a l’Espresso il tossicologo Riccardo Gatti, direttore del Dipartimento delle Dipendenze della Asl di Milano. “Il lavoro per curare questo tipo di paziente deve essere fatto a livello individuale e occorre analizzare innanzitutto se si tratta di una situazione depressiva o compulsiva, per poi trovare insieme un percorso da seguire che preveda una nuova vita senza più il gioco d’azzardo”.
Così può succedere che alcuni di loro escano dalla dipendenza in pochi mesi, senza bisogno di ricorrere ai farmaci, mentre in altri casi devono essere prescritti sedativi, calmanti e antidepressivi proprio come se si trattasse di tossicodipendenti. “A volte i pazienti prendono questi percorsi con serietà e vanno avanti fino alla fine pur di curarsi in maniera definitiva”, spiega Gatti. “Altre volte, falliscono. Noi non li vediamo più, ma sappiamo con certezza che sono tornati a giocare”.
Di storie come queste ce ne sono moltissime. Come quella di Mauro, 58 anni, milanese, piccolo imprenditore nel settore alimentare. La sua attività arrancava e allora ha deciso di tentare la fortuna. “Mi servivano alcune migliaia di euro per pagare un debito”, racconta, “così sono entrato in una delle mille sale da gioco che ci sono in città e ho cominciato a giocare alle “video lottery” sperando di racimolare qualcosa. Da ragazzo ogni tanto frequentavo i casinò e me la cavavo abbastanza bene”. Questa volta, però, la dea bendata gli ha voltato le spalle. In meno di un’ora ha bruciato 600 euro.
“A quel punto è partita una sfida con me stesso: dovevo farcela, dovevo dimostrare di non essere un fallito”, racconta. “Ogni giorno, senza neanche rendermene conto, mi ritrovavo lì dentro con gli occhi fissi su quella macchinetta. Ho venduto tutto quello che era possibile vendere. E in un solo anno ho perso 60 mila euro”. Oggi Mauro è in cura per ludopatia. Sotto la guida di uno psicologo sta facendo passi da gigante. Ma ormai il danno è fatto: i suoi beni immobiliari sono stati ipotecati.
A spingere Ornella nel mondo finto e luccicante delle sale da gioco è stato un lutto. “Tre anni fa mio marito si è ammalato di cancro ed è morto nel giro di sei mesi”, racconta. “Mi sono ritrovata completamente sola, sentivo un vuoto dentro che mi divorava. Allora un giorno ho provato a giocare. Ho pensato: magari mi distraggo un po’. In effetti all’inizio è stato così: il gioco era come un’anestesia”. Poi i guai sono arrivati anche per lei. “Avevo bisogno continuamente di soldi e la mia pensione non mi bastava più. Così ho cominciato a vendere gioielli, pellicce, argenteria”. Una discesa agli inferi che annulla ricordi e dignità: “Un giorno, rovistando in una cassetta in cerca di oro da vendere, mi sono ritrovata in mano l’anello di fidanzamento che mi aveva regalato mio marito. Solo allora ho capito che dovevo fermarmi”.
Le persone psicologicamente più deboli sono le vittime perfette. Le associazioni più attive nel terzo settore, come Libera, Gruppo Abele, Conagga, stanno sostenendo la campagna nazionale “Mettiamoci in gioco” contro i rischi del gioco d’azzardo. Fra le proposte che mirano a far arrivare in Parlamento, quella di proibire l’apertura delle sale gioco vicino a luoghi “sensibili” frequentati da persone che possono essere più vulnerabili: ospedali, cimiteri, scuole.
La campagna, spiegano i responsabili, propone di dare ai sindaci un reale potere di controllo sul fenomeno nel territorio. E a livello locale qualcosa si sta già facendo. La Lombardia, ad esempio, ha approvato all’unanimità una legge regionale che prevede un sistema di agevolazioni e aggravi dell’aliquota Irap che premia gli esercenti che smantelleranno le apparecchiature per il gioco e che penalizzerà gli esercizi dove, al contrario, sono installate le slot.
Anche in Veneto si sta preparando una proposta di legge a testo unico che ha già messo d’accordo Pd e Lega Nord e che prevede una serie di norme su divieti e obblighi per i gestori di locali pubblici dotati di slot e l’inserimento di trattamenti in via sperimentale in strutture sanitarie per le persone affette da dipendenza.
L’Umbria sta cercando la strada per reagire a questa emergenza sociale. Un recente rapporto dei Monopoli, relativo al primo semestre 2013, ha evidenziato nel “cuore verde d’Italia” dati preoccupanti: nei primi sei mesi dell’anno, gli umbri avrebbero speso 365 milioni di euro per giocare con le cosiddette “new slot” o “videolottery”. Praticamente 2 milioni di euro al giorno. La Regione è corsa ai ripari elaborando una proposta in materia – sarà approvata al massimo entro le prime settimane del 2014 – che prevede fra l’altro il divieto di qualsiasi pubblicità relativa all’apertura e all’esercizio di sale giochi e l’istituzione di un marchio regionale etico “free slot” da esporre presso gli esercizi dei locali pubblici che rinunciano alla istallazione di apparecchi da gioco e che avranno in cambio – anche in questo caso – agevolazioni fiscali.
Se da una parte lo Stato e le amministrazioni locali cercano di premiare i comportamenti “virtuosi” e di penalizzare quelli a rischio, dall’altra si ritrovano a dover fare i conti con una spesa sociale altissima.
Secondo una ricerca condotta dall’Istituto economico dell’Università svizzera di Neuchâtel e diffusa dal Conagga (Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d’azzardo) in Italia i costi sociali per i giocatori d’azzardo sono stimati da un minimo di 5,5 miliardi di euro a un massimo di 6,6 miliardi di euro all’anno.
Il problema diventa soprattutto gestionale. Il personale delle Asl locali – già occupato con i pazienti dipendenti da sostanze stupefacenti – con molta difficoltà riesce a far fronte a questa nuova, dilagante emergenza. Come spiega a l’Espresso la dottoressa Elsa Marcaccini, referente del GAP (Gioco d’azzardo patologico) al Dipartimento di patologia dipendenze della Asl Torino-2: “I nostri sportelli sono aperti solo due volte a settimana, perché medici, psicologi e infermieri devono occuparsi anche di altri pazienti”. Mancano mezzi e risorse. Solo i giocatori aumentano.