Teatro Nuovo di Verona (vedi scheda accessibilità)
Rassegna Divertiamoci a Teatro
23, 24, 25, 26 gennaio 2018, ore 21.00
Mercoledì 24 alle ore 18.00 gli artisti incontrano il pubblico.
Ingresso libero
L’avaro
di Molière
con Alessandro Benvenuti
e con (in ordine di apparizione) Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali Massimo Salvianti, Lucia Socci, Paolo Ciotti, Gabriele Gioffreda, Elisa Proietti
regia Ugo Chiti
costumi Giuliana Colzi
musiche Vanni Cassori
aiuto regia Chiara Grazzini
luci Marco Messeri
Dopo il grande successo del Malato immaginario – votato dal pubblico dei teatri toscani come miglior spettacolo della stagione 2014-15 – Arca Azzurra sceglie ancora una volta Molière e affida il ruolo di Arpagone al grande Alessandro Benvenuti perpetuando un sodalizio di lunga data. Tanti i successi che li hanno visti insieme. Tra questi Nero Cardinale (ambientato in una sera di carnevale del 1707, protagonista il prelato Francesco Maria dei Medici che deve “scardinalarsi”, sposarsi e dare alla famiglia Medici un erede e un futuro) che è valso a Chiti il prestigioso premio Riccione e altri riconoscimenti.
L’avaro è uno spaccato familiare e sociale. Arpagone è un capofamiglia balordo e taccagno circondato da un amabile e canagliesco intrigo di servi e di innamorati. Poi Arpagone viene derubato e l’avarizia cessa di essere un tic, una deformità, uno spunto di situazioni farsesche. L’avaro è una delle commedie molièriane che presuppongono una “casa”, ma la “casa” di Arpagone è anche un luogo rigorosamente finto, esplicitamente e spudoratamente teatrale. Una casa che potrebbe essere una metafora del teatro, coi suoi prodigi, le sue inverosimiglianze e la sua cartapesta.
«Il nostro Avaro – sottolinea Ugo Chiti – occhieggia a Balzac senza dimenticare la commedia dell’arte intrecciando ulteriormente le trame amorose in un’affettuosa allusione a Marivaux. Contaminazioni a parte, Arpagone resta il personaggio centrale assoluto mantenendo quelle caratteristiche che da sempre hanno determinato la sua fortuna teatrale: si accentuano alcune implicazioni psicologiche, si allungano ombre paranoiche, emergono paure e considerazioni che sono più rimandi al contemporaneo. La “parola” è usata in maniera diretta, spogliata di ogni parvenza aggraziata, vista in funzione di una ritmica tesa a evidenziare l’aggressività come – conclude il regista – la ‘ferocia’ più sotterranea della vicenda».
Con questo lavoro Ugo Chiti riprende il filone dei classici per Arca Azzurra che ha visto, tra gli altri, la messinscena della Clizia machiavelliana e di due testi tratti dal Decameron di Boccaccio.
Mercoledì 24 alle ore 18.00 nel foyer Teatro Nuovo Alessandro Benvenuti e gli altri interpreti dell’Avaro incontrano il pubblico. Conduce l’incontro, organizzato in collaborazione col quotidiano L’Arena, la giornalista Alessandra Galetto. L’ingresso è libero.
DOVE ACQUISTARE I BIGLIETTI
Teatro Nuovo dal lunedì al sabato, ore 15.30 -20.00 (tel. 045 8006100)
Cinema Teatro Alcione, via Verdi, 20 in orario di proiezioni cinematografiche
(tel. 045 8400848)
Box Office, via Pallone 16, dal lunedì al venerdì ore 9.30-12.30 e 15.30-19.30,
sabato ore 9.30-12.30 (tel. 045 8011154)
Su proposta dell’Associazione disMappa e con la collaborazione del Comune di Verona, il Teatro Nuovo (che ha sottoscritto il MANIFESTO DEI TEATRI ACCESSIBILI) promuove le proprie attività artistiche e culturali rendendo più semplice la partecipazione del pubblico con disabilità. Per la rassegna, limitatamente ai posti disponibili, vale la tariffa TEATRI 10 e LODE: 10 euro per carrozzina e posto di platea, 20 euro se i posti da occupare sono due.
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DIVERTIAMOCI A TEATRO. Affollato l’incontro con gli attori organizzato dal nostro quotidiano
Benvenuti: «Il mio avaro?
Un patologico senza età»
Francesca Saglimbeni
La compagnia, in scena fino a domani al Nuovo, si è raccontata tra ironia e simpatiche battute: «Siamo un gruppo affiatato, questo ci aiuta»
Francesca Saglimbeni Dire «l’ho già visto» non vale! La messa in scena di «L’Avaro» di Molière a firma di Arca Azzurra Teatro, per la regia di Ugo Chiti – nel cartellone della rassegna Divertiamoci a Teatro fino al 26 gennaio – fermenta di un’alchimia tutta da scoprire. Che rende il classico moleriano estremamente moderno e innovativo. Senza mai, però, scalfirne il senso. E questa magia, che al debutto di martedì al Teatro Nuovo, ne ha decretato il pieno successo, «è dovuta prima di tutto alla scrittura del nostro regista, il quale, scavando nei personaggi e nella struttura dell’opera l’ha liberata di ogni stereotipo, per restituirla in una veste nuova, ma autentica», ha spiegato Alessandro Benvenuti, all’appuntamento di ieri nel foyer del Nuovo, con «l’Arena incontra…», condotto dalla giornalista Alessandra Galetto. Chiti ha ripulito il testo da una serie di lungaggini e intrighi amorosi, «in modo intelligente quanto furbo», ha ribadito l’attore toscano, che nella pièce è lo special guest Arpagone, «concentrando la narrazione su otto interpreti, e inserendo un prologo e un epilogo sostituivo del finale, sostanzialmente irrisolto, dell’opera». Ha tolto gli eccessi e ha aggiunto il necessario, insomma. Come in un’operazione sartoriale «in cui gli interpreti vengono rivestiti di una personalità contemporanea», ha osservato Benvenuti, Arpagone «senza età, che ringiovanisce o invecchia a seconda del rapporto che, nel corso della vicenda, assume verso il danaro».Gli attori di questo Avaro, «sono tutte persone, ciascuno con le proprie malattie interne», commenta, in parte scherzando, in parte facendo riferimento alla dimensione psicologica dello spettacolo. Persone che compongono un cast affiatatissimo, riflesso anche nell’incalzante ritmo della drammaturgia, «quasi impossibile senza una complicità a monte», spiega Benvenuti, nella famiglia di Arca Azzurra per la seconda volta (la prima fu per la rappresentazione di «Nero cardinale», premio Riccione per la drammaturgia). «Ormai conosco tutti i segreti di Chiti, ma mica ve li racconto», scherza con la sua inflessione contagiosa. Una caratterizzazione linguistica, quella toscana che resta, volutamente, anche in questa trascrizione, accentuando la comicità dei dialoghi. Nei quali «c’è tuttavia anche rigore», assicura il primo attore, cui non piace creare «trombonisti e istrionismi». Fumettistici appaiono anche Cleante (Andrea Costagli), figlio di Arpagone, e Mariana (Elisa Proietti), cui il regista ha offerto un’anima un po’ ribelle. «Una proto-femminista», scherza ancora Benvenuti.
DIVERTIAMOCI A TEATRO. Lunghi applausi per la prova dell’attore toscano. Oggi alle 18 nel foyer l’incontro con il cast
Benevenuti, un avaro mattatore
che fa di Molière un «moderno»
Alessandra Galetto
Cast affiatato per uno spettacolo dal ritmo serrato. La commedia dell’autore francese viene riletta strizzando l’occhio al nostro presente: il denaro diventa malattia patologica
Alessandra Galetto «Stanare» Molière dal Seicento delle parrucche e farlo parlare con la sua vera forza, viva anche per il mondo sociale italiano d’oggi. Lo affermava già nei decenni finali del secolo scorso il critico Cesare Garboli: a proposito della messinscena dei grandi testi dell’autore francese, scopriva e indicava qualcosa che calza bene, ci pare, con questo Avaro andato in scena ieri sera al Teatro Nuovo, quarto appuntamento della rassegna «Divertiamoci a Teatro» proposto da Arca Azzurra Teatro, per la regia e l’adattamento di Ugo Chiti, con Alessandro Benvenuti nel ruolo di protagonista. Un Benvenuti mattatore che ha strappato lunghi applausi al pubblico, così come il resto del cast, affiatato e capace di mantenere un ritmo serrato che non lascia un attimo di tregua.Garboli, dicevamo. Sosteneva infatti il critico che «il teatro italiano, e con esso la borghesia italiana, ha saltato Molière»: saltato o frainteso, vedendolo solo alla superficie, essenzialmente come un autore di farse. Occorreva dunque per il teatro italiano tradurre due volte Molière, “da” e “per”: dal testo adatto alla Versailles del Seicento a un testo adatto per l’Italia d’oggi. Sulla scorta di questa intuizione critica forse potrebbero apparire oggi esilaranti sì, ma non sempre pungenti in profondità avari come quelli cinematografici di Totò o di Sordi, mentre Molière meglio si potrebbe avvicinare alle ombre psicanalitiche di cui si tingeva il malato immaginario di De Lullo – Valli, o alla stretta attualità italiana di inizio Duemila del Tartufo di Toni Servillo o dall’aspra isteria dell’Avaro di Gabriele Lavia. E dai tanti testi di Molière messi in scena, con la collaborazione proprio di Garboli, da Carlo Cecchi.Ecco, nel solco di questa lettura possiamo dire che si muove anche L’avaro di Chiti – Benvenuti. Un Avaro che occhieggia a Balzac senza dimenticare la commedia dell’arte intrecciando ulteriormente le trame amorose in un’affettuosa allusione a Marivaux. Perchè se è vero che qui Arpagone resta il personaggio centrale mantenendo quelle caratteristiche che da sempre hanno determinato la sua fortuna teatrale, d’altro canto il regista sceglie di accentuarne alcune implicazioni psicologiche, allungando ombre paranoiche sulla sua figura, lasciando emergere paure e considerazioni che sono intelligenti rimandi al contemporaneo. Insieme alla risata, avanza un senso soffocante di inquietudine, la farsa, senza perdere in brillantezza, si incupisce, si fa tagliente.E Benvenuti si cala magistralmente in questa atmosfera dark (gli attori si muovono su uno sfondo buio dominato da inquietanti giochi di chiaroscuro, come in una pittura; a tratti l’impressione è di una messinscena che strizza l’occhio al fumetto) offrendoci un Arpagone dominato, più ancora che dall’avarizia, dalla malattia del denaro, dalla follia dell’avere. La “parola” è usata in maniera diretta, spogliata di ogni parvenza aggraziata, vista in funzione di una ritmica tesa a evidenziare l’aggressività e la ferocia più sotterranea della vicenda.Chiti sceglie con intelligente soluzione di inventare un prologo e un epilogo, sfrondando il testo originale da lungaggini e irresolutezze, limitando anche il numero dei personaggi (il canagliesco intrigo dei servi) e la complessità della vicenda, per lasciare maggiore spazio al gioco metaforico, facendo ad esempio della casa di Arpagone un luogo che volutamente si annuncia come finto e misterioso, con quegli ingressi sghembi, un luogo allusivo e in questo senso, per eccellenza, teatrale. In un crescendo convulso, ecco Arpagone crollare nel baratro della follia e della solitudine: senza pentimenti, fedele fino all’ultimo al suo denaro.
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