Teatro Roman0 di Verona
6 luglio 2017, ore 21.00
Il 60° premio “Renato Simoni per la fedeltà al teatro di prosa” viene attribuito quest’anno a un attore molto apprezzato sia dal pubblico che dalla critica: Gabriele Lavia, applauditissimo protagonista, appena due mesi fa al Nuovo nell’ambito del Grande Teatro, dell’Uomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello.
La cerimonia di consegna del premio avverrà il 6 luglio al Teatro Romano alle ore 21 prima dell’inizio di Riccardo II che quest’anno apre il 69° Festival Shakespeariano dell’Estate Teatrale Veronese in prima nazionale con la regia di Peter Stein e che ha per protagonista Maddalena Crippa.
L’assegnazione del 60° premio “Renato Simoni” a Gabriele Lavia è stato deciso dalla giuria presieduta dall’ex sindacoe formata dai giornalisti Andrea Bisicchia, Franco Cordelli, Masolino d’Amico, Rodolfo Di Giammarco e Gabriele La Porta. Questa la motivazione del premio.
«C’è, nell’idea di teatro di Gabriele Lavia, una profondità d’indagine, una personale scrittura scenica, una fecondità d’immaginazione, una classicità di struttura che ne rendono unica la visione che diventa, contemporaneamente, testimonianza di uno stile di esecuzione, capace di coincidere con uno stile di vita, ostinato nella ricerca, nel gusto di sperimentare, tanto da farne un attore-autore di quel che mette in scena, sia che si tratti di Shakespeare, Schiller, Dostoevskij, Ibsen, Strindberg o del tanto amato Pirandello. Riguardare la sua teatrografia è come ripassare anni di processi analitici, di selezioni, di attitudini psicofisiche, essendo, Lavia, sempre insoddisfatto, inquieto intellettualmente, come, del resto, deve essere un vero artista. Tra i vari maestri, egli non dimentica di citare Strehler, forse perché ne continua l’alto magistero, avendone raccolto il testimone per essere, a sua volta, maestro di una teatralità complessa nella quale confluiscono linguaggi diversi, ordinati dalla forza del pensiero, con incursioni esistenziali, oltre che filosofiche, che stanno alla base di ogni sua interpretazione».
Gianpaolo Savorelli legge la motivazione e il Sindaco Federico Sboarina consegna il premio a Gabriele Lavia
Nato a Milano nel 1942, Lavia è, come attore e regista, una delle figure più rappresentative del teatro italiano degli ultimi cinquant’anni. Cresciuto a Torino, debutta come attore teatrale nel 1963 dopo il diploma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica e si rivela al grande pubblico recitando nello sceneggiato televisivo Marco Visconti del 1975 nella parte di Ottorino Visconti. Tra i registi che l’hanno diretto in teatro, Giorgio Strehler, Giuseppe Patroni Griffi, Luigi Squarzina, Mario Missiroli e Marco Sciaccaluga. Numerosi i film da lui interpreti, diretto, tra gli altri da Mauro Bolognini, Francesco Maselli, Tonino Cervi, Dario Argento, Gabriele Muccino, Giuseppe Tornatore e Pupi Avati. Si è cimentato con successo anche nella regia cinematografica firmando, negli anni Ottanta, film interpretati dall’allora moglie Monica Guerritore. Oltre alla compagnia teatrale da lui fondata, ha diretto importanti teatri tra cui la Pergola di Firenze, l’Eliseo di Roma e lo Stabile di Torino mettendo in scena con successo, come attore e regista, classici del repertorio e pièce contemporanee.
Dopo la prima del 6 luglio, Riccardo II sarà replicato il 7 e l’8 con inizio alle 21.15. La stagione di prosa proseguirà con Le baruffe chiozzotte di Goldoni, Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare e Sette contro Tebe di Eschilo.
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Lavia, uno stile vincente
«Non mi sono mai piaciuto»
Simone Azzoni
«Non soffro i drammi dei personaggi che faccio piuttosto il dramma di un teatrante che si sente sempre inadeguato sia come attore e come regista»
Sarà Gabriele Lavia a ritirare domani sera alle 21 il sessantesimo premio “Renato Simoni per la fedeltà al teatro di prosa”. Nella motivazione si coniuga il suo lavoro con lo stile di vita. «Si allude ad un certo modo di accostarmi alla messa in scena con una certa antica serietà che forse si è persa. Io non soffro i drammi dei personaggi che faccio, piuttosto il dramma di un teatrante che si sente sempre inadeguato sia come attore e come regista». Cosa la rende insoddisfatto? «Mi piacerebbe essere molto, molto bravo a recitare. Io non mi son mai piaciuto. Ma detto questo riconosco che il mio lavoro è un lavoro fatto con una tensione molto seria. Le mie intenzioni sono serie, come la mia preparazione dopodiché è probabile che io non riesca a mettere amore spinta e desiderio dentro l’opera compiuta. Per incapacità personale o del gruppo. Sempre il teatro è un’arte collettiva e come tale ha bisogno di tutti gli altri». Un teatro spinge verso la ricerca, un altro punta i piedi nella classicità. Come mediare le tensioni interne al genere? «Ogni uomo è figlio della sua storia e nella storia non esiste un modo di fare teatro. Il teatro è così grande che ci può avvolgere e contenerci tutti». Che cosa tiene in vita il teatro? «È la cosa più importante e indispensabile che esista. Il cinema è morto perché è una tecnica e ogni tecnica è superata da un’altra. Il teatro si farà sempre allo stesso modo: con attori che si muovono su un palcoscenico davanti agli spettatori. Anche la moda del microfono è passeggera». Si salverà da se stesso e dalle sue contaminazioni? «Il teatro è un sussulto, non si sa e non si può sapere, per questo non muore perché si ripete e si ripeterà sempre. Il teatro è una ripetizione della sua eternità, Amleto sarà ripetuto da attori diversi da attori diversi». Qual è la differenza tra teatro tradizionale e convenzionale? «Il mio pubblico sa che tipo di spettacolo posso dare. L’interprete ha il dovere di interpretare, io non ho mai fatto uno spettacolo convenzionale, tradizionale si, e lo rivendico. Tradizionale è trasportare da un tempo ad un altro tempo. Il tempo di Pirandello nel il tempo mio». Tornerà sul palco del Romano con qualcosa di Suo?«Dipende e da tante cose, anche di carattere economico. Non è così facile fare il teatro. Poi io ho le mie manie e altri le loro. Bisogna mettersi d’accordo».Ci sediamo accanto a lei alla prima del Riccardo II: ci consigli cosa guardare della regia.«Io lo rappresentai tanti anni fa, parlando di frantumazione dell’essere. Io credo che una inaugurazione con Peter Stein sia il meglio con cui si poteva aprire il cartellone».
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