«Violenza sulle donne, leggi ancora difficili da applicare»
Una manifestazione sotto il loggiato della Gran Guardia per dire no alla violenza sulle donne
IL CASO. Psicologi e avvocati dei centri antiviolenza denunciano la carenza degli strumenti di prevenzione nel concreto.
La neolaureata in Diritto penale con una tesi sul femminicidio: «Non c’è reale tutela delle vittime». La psicologa: «In troppe rimane la paura a denunciare le molestie»
Il termine «femminicidio» è drammaticamente entrato nelle cronache del nostro tempo con uno spazio sempre più ampio: la sequenza di omicidi che hanno come vittime le donne, uccise dal loro compagno o ex compagno, ha determinato l’esigenza di inventare una parola che desse un nome al fenomeno. Il femminicidio però è il gesto estremo di una condotta violenta che l’uomo esercita anche in molte altre forme della vita quotidiana e proprio questi segnali dovrebbero mettere in guardia, campanelli d’allarme da non trascurare. Ma esiste una legge che consenta di intervenire per tempo, tutelando sul serio la vittima? «Il problema è duplice: da un lato l’esistenza di una legislazione capace di tutelare davvero le vittime, dall’altro anche l’applicabilità di queste norme nel concreto dei tanti, differenti casi», osserva Ingrid Maggiolo, neolaureata veronese in Diritto penale con una tesi sul femminicidio, membro della neonata associazione Isolina per la prevenzione del femminicidio, che nel processo a Ciccolini si farà parte civile. «Anche il recente decreto del governo ha molti punti discutibili», prosegue la Maggiolo. «L’unico passaggio positivo è la possibilità di arresto se il persecutore è colto in flagranza di reato. Ma, anche ammettendo una tutela penale teoricamente efficace, questa si scontra con difficoltà pratiche in sede di attuazione: servono nuove norme che prevedano misure più restrittive per i possibili aggressori e una diminuzione dei tempi processuali. E soprattutto serve una nuova cultura, strumento basilare della prevenzione. Le donne devono sentirsi sicure e accettate nel denunciare la violenza, affermado il loro diritto a dire no». «Un momento molto importante del percorso psicologico per le donne che si rivolgono a noi sta proprio nell’individuazione e nel riconoscimento della violenza», conferma Tiziana Carmelutti, psicologa del centro antiviolenza Petra. «Quello che è stato detto riguardo a Lucia Bellucci, raccontato dall’avvocato della famiglia della vittima, che cioè la giovane fosse preoccupata per Ciccolini e quasi si sentisse in colpa, è una dinamica abbastanza frequente. Il problema è aiutare le donne e uscire da questa visione distorta, capire che se il tuo compagno ti impedisce, per dire, di truccarti o di vedere le amiche, non sono segnali di un grande amore ma di un amore patologico. In questo senso parlare con esperti, uscire dall’isolamento è di grande aiuto». Un punto condiviso da Giuliana Guadagnini, psicologa clinica e sessuologa, responsabile del punto di ascolto per il bullismo dell’ufficio scolastico provinciale. «Il femminicidio è la punta dell’iceberg di quelle condotte che vanno dal maltrattamento alla violenza domestica, all’impedimento di scegliere un partner o una religione, o ancora di divenire madre, o semplicemente di decidere e dire che una storia d’amore è finita. Riguarda tutte le forme di discriminazione e violenza di genere che sono in grado di annullare la donna nella sua identità e libertà, fisicamente, psicologicamente e socialmente», spiega. «Nella mia esperienza clinica parlando con vittime di ogni età è emerso che era molto il timore di denunciare: si sentivano prese in giro perchè troppo ansiose, amici e conoscenti sottovalutavano il problema, molte pensavano che lasciando passare il tempo la cosa si sarebbe risolta. Non è quasi mai così».