Se lo smartphone diventa una droga
(Articolo di Enrico Caporale tratto dal sito http://www.lastampa.it/2017/05/18/cultura/scuola/e20/attualita/giovani-e-smartphone-/se-lo-smartphone-diventa-una-droga-AF9AjIVeGnlhGQZ4DpNAMN/pagina.html del 19 maggio 2017)
Sempre più giovani vivono prigionieri dei social network e gli esperti paragonano la dipendenza dai cellulari all’alcolismo. La tecnologia, dopo aver rivoluzionato il modo di comunicare, sta diventando un pericolo? E che cosa si può fare per correre ai ripari?
Ottanta ragazzini di terza media senza il cellulare per 48 ore. E’ l’iniziativa messa in campo ad aprile 2017 da alcuni insegnanti dell’Istituto Comprensivo di Goito, Comune nella provincia di Mantova, per accendere un faro su quella che sta diventando una vera e propria emergenza: la dipendenza da smartphone. Prima di iniziare l’esperimento i professori hanno consegnato un questionario. Alla domanda sulla quantità di ore perse sul telefonino si è scoperto che la maggior parte dei ragazzi ne trascorre tra le due e le quattro al giorno. Troppo? Per il professor Luca Bassani, il primo ad avere avuto l’idea delle 48 ore di “disintossicazione”, certamente sì. I giovani attraverso lo smartphone chattano, scattano foto, ascoltano musica, navigano su Internet e giocano eterne partite a Minecraft, Clash Royale o Pokemon Go. Lo stesso che spesso ripetono a casa di fronte a tablet e Pc. Fatto l’esperimento, gli insegnati hanno registrato i risultati. Il dato più significato è che i ragazzi hanno raccontato di aver recuperato in quei due giorni abitudini perdute, come uscire con gli amici, discutere in famiglia e persino leggere. Ma che cosa ci insegna il caso di Goito? La tecnologia, dopo aver rivoluzionato il modo di comunicare, sta diventando un pericolo? E che cosa si può fare per correre ai ripari?
Secondo David Greenfield, professore di psichiatria all’Università del Connecticut, “l’attaccamento allo smartphone è molto simile a tutte le altre dipendenze, perché causa interferenze nella produzione della dopamina”, il neurotrasmettitore che regola la ricompensa: in altre parole incoraggia le persone a svolgere attività che credono possano dare piacere. L’esperto di marketing e autore di diversi libri motivazionali Simon Sinek paragona la dipendenza dalla tecnologia all’alcolismo. “Nei momenti di stress i Millenials non si rivolgono a una persona – spiega -, ma a un dispositivo elettronico e ai social media, i quali offrono un sollievo temporaneo”. I ragazzi, ma sempre più spesso anche gli adulti, sarebbero quindi incapaci di raggiungere una vera gratificazione relazionale, perché rinchiusi nel mondo filtrato di Facebook, Instagram e WhatsApp. Uno studio dell’università ungherese Lorand Eotvos mostra come i giovani privati del telefonino diventano nervosi, manifestano segni di stress, agitandosi o toccandosi parti del corpo, e il loro battito cardiaco aumenta. Ciò dimostrerebbe l’esistenza di una forma di attaccamento al cellulare, proprio come quella che si prova verso partner, parenti o amici. Il telefonino, infatti, non è più soltanto uno strumento utilizzato per chiamare e ricevere, ma rappresenta l’insieme delle connessioni sociali di un individuo. E senza ci si sente perduti.
Una buona notizia però c’è: sul New York Times, evidenzia il giornalista Mattia Feltri, “è uscita un’inchiesta secondo cui nell’ultimo decennio gli adolescenti americani hanno progressivamente ridotto il consumo di sigarette, alcol e droghe in perfetta coincidenza con la proliferazione imperiosa di tablet e smartphone”. “Pare che i social network – scrive ancora Feltri – appaghino il desiderio di una vita propria e indipendente più di una sbronza di gruppo. Sarà comunque una dipendenza, ma certo meno inquietante”. In ogni caso tra genitori e insegnanti c’è anche chi crede che un uso virtuoso degli apparecchi elettronici, magari in classe e dopo corsi di educazione digitale, è possibile.
“Chi comprerà l’iPhone non potrà più farne a meno”, annunciavano i guru dell’hitech al debutto, nel 2007, del primo smartphone targato Apple. Da quel successo è nata l’economia delle app, cavalcata da colossi come Facebook e Twitter, progetti rivoluzionari come Airbnb e Uber, che hanno stravolto il modo di viaggiare e comunicare. Fino a diventare parte essenziale delle nostre vite. E per molti un problema. Secondo i dati del “Digital in 2017 Global Overview”, il report che ogni anno fotografa la Rete nel mondo, il tempo trascorso dagli italiani sui social media è di circa due ore al giorno e il Paese si conferma tra quelli con la più alta penetrazione di telefonini rispetto alla popolazione mondiale, con un tasso dell’85%. Charles Chu, giornalista di Quartz, ha calcolato che nel tempo che spendiamo sui social network in un anno potremmo leggere ben 200 libri. Ma non è tutto. Una ricerca pubblicata sulla rivista Archives of Sexual Behavior, che ha monitorato l’attività degli statunitensi sotto le lenzuola tra il 1989 e il 2014, ha registrato un calo vertiginoso dei rapporti sessuali tra le giovani coppie, dove anche il piacere è sempre più virtuale. “Il sesso è bello – scrive Federico Taddia su La Stampa – ma può aspettare. Prima c’è Facebook, un Pokemon da acchiappare o Instagram da aggiornare”. Un consiglio per i ragazzi? Spegnere ogni tanto i telefonini come hanno fatto gli studenti di Goito e guardarsi negli occhi, parlarsi, toccarsi, ascoltare.