«Io, finito all’inferno mi batto contro il gioco, droga legale»
(Articolo di Sandra Mattei tratto dal sito http://trentinocorrierealpi.gelocal.it/trento/cronaca/2015/11/03/news/io-finito-all-inferno-mi-batto-contro-il-gioco-droga-legale-1.12384285 del 03 novembre 2015)
Francesco Fiore incontra gli studenti degli Artigianelli: «Da soli non si guarisce, si istituisca la figura del tutor»
TRENTO. La campagna contro la dipendenza dal gioco d’azzardo inizia soprattutto dalla scuola. In provincia molto è stato già fatto, con i consigli comunali che si sono schierati contro le slot machine in locali vicini a luoghi sensibili come scuole e biblioteche, con la raccolta di firme lanciata dal nostro giornale per promuovere una legislazione più aggiornata e severa, con percorsi ed iniziative che hanno coinvolto i giovani (come il concorso “Arti vs azzardo – Arts against gambling”) per sensibilizzare sui rischi del gioco d’azzardo.
Anche la scuola si è attivata per informare fin dalla giovane età sui rischi di chi pensa di poter controllare la passione del gioco, e poi può finire in una vera e propria dipendenza: la ludopatia. E ieri, all’Istituto Artigianelli di Trento, si è tenuto un incontro con un ex giocatore patologico, Francesco Fiore, all’interno di un percorso con i ragazzi della IV, indirizzo tecnico grafico multimediale, coordinato dal professore Paolo Holdneider. La classe ha partecipato alla realizzazione di un video ed ha disegnato il marchio etico che distingue i bar che si oppongono alle slot machine.
Francesco Fiore è un fiume in piena. Che trasmette il dramma di chi ha perso tutto per la dipendenza da gioco e che è riuscito a guarire con costi altissimi, sia materiali che psicologici. E che ora si è posto un obiettivo: «Lo Stato deve attivare percorsi di recupero ed istituire una figura professionale di tutor che accompagnino i giocatori compulsivi, che sostengano loro e le famiglie. Perché da soli non ce la possono fare». Francesco Fiore ripete questi concetti nelle apparizioni televisive, che sono diventate frequenti dopo la sua partecipazione al docufilm «Vivere alla grande» di Fabio Leli. Nell’incontro con gli studenti, ripercorre la sua esperienza perché, dice, possa essere un esempio per chi si trova nella sua stessa situazione e per dimostrare che uscire dalla ludopatia si può.
«Quando un giocatore è malato – spiega ai giovani che l’ascoltano attentamente – è perché c’è un malessere di fondo. È come un bambino che fa la pipì a letto: punirlo non serve, va capito. E va curato. Da solo non può farcela, per questo è chi gli sta vicino che deve intervenire. Io sono riuscito a venirne fuori perché ho avuto i genitori che mi hanno aiutato. Quando ho chiesto aiuto, mi telefonavano decine di volte al giorno per controllarmi, per assicurarsi che non ricadessi, tornando a giocare». Certo, i costi di questa passione, che per Francesco è iniziata quando era giovanissimo, a 18 anni, sono stati alti. «La dipendenza mi ha fatto perdere mia figlia – racconta – perché la madre ha chiesto la separazione ed è tornata a vivere in Slovacchia. Per anni ho rovinato la mia vita e quella dei miei familiari. Tutto quello che guadagnavo lo giocavo alle slot. E quando perdevo, prendevo anche i soldi che mia moglie teneva a casa, per le spese quotidiane, per pagare le bollette». Francesco, che vive a Altavilla Vicentina ed ha un’agenzia immobiliare, ha un debito di 30 mila euro con Equitalia. «Ho giocato per anni – risponde ai ragazzi che gli chiedono come ha iniziato – stando davanti alle machinette anche otto ore. Ho iniziato perché quando fai delle vincite ti senti bene, ti prende il cervello. È una vera e propria droga, non solo psicologica, ma fisica. E come tale bisogna disintossicarsi. Il problema è che lo Stato specula sul gioco, perché lo promuove e lo diffonde. Insomma ne fa una droga legalizzata». Come è scattata la decisione di smettere, chiediamo. «L’ho fatto – risponde Francesco – quando ho sentito piangere mia figlia. Perché ora è distante 800 chilometri, ed io non ho soldi per andare a trovarla e vederla come vorrei».
Francesco Fiore ha smesso di giocare da due anni e ribadisce: «Sono sceso all’inferno. Ho perso le persone care, gli amici e sono finito nelle mani degli usurai. Io combatto contro l’ipocrisia di uno Stato che fa passare il gioco come un divertimento, ma c’è dietro un giro d’affari enorme. Una droga legalizzata».