Ludopatia, ossessione moderna. Quando il gioco non è più uno svago
(Articolo di Stefania Castella tratto dal sito http://www.ilgiornaleweb.it/cultura/societa/1881_ludopatia-ossessione-moderna-quando-il-gioco-non-e-piu-uno-svago-au55.html del 29 giugno 2015)
L’ultima in ordine di tempo ha tenuto col fiato sospeso l’Italia intera a chiedersi chi fosse questo giocatore-giocatrice a negarsi al bacio profondo della fortuna. Scopriamo proprio in queste ore che la signora in questione della quale ormai si sapeva tutto (compreso luogo e orario di giocata) ha ritirato il malloppo sul filo del rasoio, da quel fatidico 30 aprile della giocata, il tempo era giunto oramai al limite (29 giugno). La vincita? 100 mila euro immediati e una rendita mensile di 4mila euro per vent’anni, non male per una mossa da due euro.
E per un vincitore (caso abbastanza raro) milionario, milioni di giocatori ossessionati da quello che “vizio” è per chi studia il fenomeno dell’ossessione al gioco: un termine errato. Vizio, spiegano gli esperti, è una parola più morale, che il termine appropriato, riduttivo per definire una vera e propria malattia. Una patologia con fattori diversi, aspetti sociali, predisposizione genetica e psicologica. Veri ammalati col bisogno, impulso irrefrenabile, di puntare sempre più in alto, sempre di più, fino a perdere tutto. Quel tutto che oggi è quel poco che c’è, e porta con sé la speranza di cambiare le cose. E non solo. Ci sono spiegazioni scientifiche e mediche, che attribuiscono certi comportamenti “all’attivazione del sistema di ricompensa”, un’area del cervello che si accende quando facciamo qualcosa che verrà processata come gratificante.
La Dopamina (il mediatore della gratificazione) che sarà in circolo, darà energia e spinta, quel piacere che induce ad alzare la posta, a vincere per puntare, a perdere e non arrendersi, un circuito in Tilt che non finisce mai. Si ammala, certo, chi è più propenso, chi come una calamita viene attirato restando agganciato nel meccanismo, che non si renderà conto di perdere a poco a poco la parte materiale ma soprattutto quella più profonda, fatta di stima per sé stesso, e dignità. Ma spesso restare invischiati è un attimo. Questa vera emergenza sociale, in aumento con la crisi, appare un paradosso, che svanisce, se pensiamo a piccoli scenari quotidiani, piccole nicchie composte spesso da chi gioca accanitamente, minuscole briciole di pensione (già minima di per sé), stipendi interi (ancora più minimi delle pensioni) fino a ridursi sul lastrico, in un gorgo che ingoia il protagonista e tutto ciò che ruota intorno a lui.
I numeri, di questo dramma, enormi, la “Ludopatia”, malattia che va dalla dipendenza per la slot fino ai fatidici Gratta e Vinci, conta quasi 900 mila italiani coinvolti. La spesa complessiva si aggirava lo scorso anno intorno agli 84,4 miliardi di euro (dati riferiti dalle Agenzie delle Dogane e dei Monopoli). Uomini e donne, tra chi racconta di svago innocente, cercando di giustificarsi, molti non ammetterebbero mai una vera e propria dipendenza da affrontare al pari di qualunque altra dipendenza (compresa la droga).
Per questo i Sert possono essere un supporto importante. Questi centri che offrono servizi per le dipendenze patologiche sono composti da specifiche equipe: medici, psicologi, assistenti sociali, educatori, che si occupano di diagnosticare e curare gli “affetti da gioco patologico”, instaurando un dialogo con il protagonista e tutto il suo mondo intorno, disgregatosi per forza di cose. Spesso i parenti si sentono impotenti di fronte a quello che non sempre si riesce a riconoscere come malattia vera e propria e provano rabbia, frustrazione, si sentono traditi. Molti giocatori nascondono uscite fisiche e uscite di denaro, innescando una serie di situazioni difficili da sbrogliare, fatte di bugie e sotterfugi che, chi riceve, non può gestire con lucidità.
Ricordare che si è di fronte a persone ammalate, può aprire un varco, perché spesso si tende ad incattivirsi a pensare a questi Incalliti giocatori, come bambini incoscienti, viziati, cattivi. Non è sempre così, in queste perdite di controllo. Molte volte non si vede non ci si rende conto, come molte volte si finge di non vedere. Quando ci si rende conto, il più delle volte, il coinvolgimento è già ad uno stato avanzato.
Una spirale illogica, pensate che la “conta del vincitore” è una cifra che parla di un rapporto di 1 su 6.000.000 (si proprio una cifra a sei zeri). Per uno che vince, come in quest’ultimo caso di Monza, milioni si rovinano la vita. Aiutare vuol dire riconoscere il confine tra gioco e azzardo, un confine sottile che può fare la differenza. Un limite che oltrepassa lo svago e non ci si può permettere di superare, per non andare a discapito di sé stessi e dei propri cari, lasciarsi aiutare, il primo passo dopo aver riconosciuto la distorsione.
La passione, che non raggiunga l’ossessione, il gioco sì, ma che sia gestito da noi, dalla nostra volontà, e non il contrario. E su tutto, non diventiamo burattini nelle mani delle macchinette.. il gioco deve essere divertimento, non qualcosa che ti distrugge la vita.