Se la crisi fa ammalare, in Italia aumentano le richieste d’aiuto
(Articolo tratto dal sito http://www.focus.it/scienza/salute/se-la-crisi-fa-ammalare-in-italia-aumentano-le-richieste-d-aiuto del 05 febbraio 2015)
Futuro incerto e lavoro precario: l’ombra delle difficoltà economiche oscura anche la psiche e il mal di vivere colpisce uomini e donne, in media cinquantenni ma anche giovani. L’Osservatorio sulla crisi del Policlinico di Milano fotografa il fenomeno e disegna l’identikit delle vittime. Depressione, ansia, alcolismo, malattie di cuore e suicidi preoccupano gli esperti.
Milano, 5 feb. (AdnKronos Salute) – La scure del futuro incerto e della precarietà lavorativa si abbatte sulla psiche degli italiani. Ed è boom di ‘malati di crisi’, persone psicologicamente provate che tendono a isolarsi e cadono nella rete dei disagi mentali. Sono uomini e donne (la componente rosa pesa in misura lievemente maggiore) e hanno in media 50 anni, ma ci sono casi di ‘vittime’ 25enni o della terza età. La crisi non fa differenze di ceto o professione. A chiedere aiuto sono soprattutto piccoli commercianti, dirigenti d’azienda e paradossalmente chi lavora nell’area delle ‘professioni d’aiuto’, come educatori o operatori socio-assistenziali.
E’ il quadro tracciato oggi a Milano, in occasione della presentazione del 19esimo Congresso nazionale della Società italiana di psicopatologia-Sopsi (in programma in città dal 23 al 26 febbraio), da un team di specialisti che ha uno sguardo privilegiato su questi pazienti dell’era moderna: gli esperti dell’Osservatorio sulla crisi del Policlinico di Milano, inaugurato 3 anni fa, con l’Italia in piena recessione. Oltre ai giovani nei quali è rilevante il pensiero di ‘assenza di futuro’ ci sono anche persone tra i 35 e i 59 anni, spesso in situazione di precarietà lavorativa. Un fattore cruciale, spiegano i camici bianchi, se si pensa che l’identità lavorativa è protettiva per la salute mentale, con le relazioni familiari e sociali e la sicurezza economica. E’ così che la crisi fa mancare il terreno da sotto i piedi colpendo 2 volte: a livello psicologico e isolando le sue vittime.
“L’aggravarsi della crisi finanziaria stessa, la mancanza di sicurezze lavorative e di guadagno – spiega Carlo Altamura, professore ordinario di Psichiatria dell’università degli Studi di Milano e direttore del Dipartimento di neuroscienze e salute mentale del Policlinico – determinano esaurimento e stress che sfociano in fragilità già presenti negli individui: in generale hanno spesso aggravato alcune malattie e ne hanno slatentizzato di nuove”. A preoccupare gli esperti l’andamento di alcolismo, ansia, depressione, patologie cardiovascolari, suicidi.
Secondo un’indagine condotta dall’Ispo e commissionata dal Policlinico, il 95% degli italiani ritiene che la crisi economica e sociale abbiano determinato un aumento delle persone che soffrono di disturbi quali depressione, ansia, abuso di alcol o altre sostanze. Nel periodo compreso tra il 2009 (inizio crisi) e febbraio 2013, la percezione di un peggioramento della situazione economica è aumentata dal 53% al 62%. Nella psiche degli intervistati il futuro è nero anche per quanto riguarda la situazione economica della propria famiglia: se a gennaio 2009 tale percezione è pari al 31%, a febbraio 2013 sale al 58%.
Inoltre, il 48% degli italiani consiglierebbe un medico o uno specialista a un amico in difficoltà. E se c’è da scegliere tra parlare con un camice bianco o tenere per sé i propri problemi, il 46% dopo un momento di imbarazzo si reca dal medico o da uno specialista; il 33% non si rivolge a nessuno e risolve il problema da solo; il 21% va subito o quasi dal medico o da uno specialista. Mentre secondo i dati del Rapporto Osmed 2014 sull’uso dei farmaci, gli italiani consumano un numero sempre più elevato di antidepressivi.
“La situazione – prosegue Altamura – deve essere tenuta sotto controllo, soprattutto con un lavoro congiunto che coinvolga diverse figure: psichiatri, psicologi ed operatori sociali, uniti per affrontare nel migliore dei modi le patologie crisi-correlate”. Ma chi sono gli individui potenzialmente a rischio ora e nei prossimi anni? “E’ probabile – osserva Altamura – che siano i cosiddetti ‘pazienti della post-modernità’, caratterizzati da un sé fragile e portatori di disagi psichici legati a tematiche di narcisismo e dipendenza, patologie in crescita sin dagli anni ’90: sostanze, gambling, shopping compulsivo e working addiction”.
I disturbi psicopatologici in un tempo di importante crisi globale, riflette Alberto Siracusano, ordinario di Psichiatria, università degli Studi di Roma Tor Vergata, “obbligatoriamente portano a riflettere sulle diverse cause e caratteristiche della paura, sulle nostre vulnerabilità e sulle nostre capacità di resilienza”, la capacità di riprendersi e di uscire più forti e pieni di nuove risorse dalle avversità. “Da un punto di vista psicologico e psicopatologico, una delle cause più profonde alla base delle nostre angosce è rappresentata dalla perdita, rottura della sicurezza dei legami sociali e familiari. In campo psichiatrico si colloca la paura all’interno di diversi quadri psicopatologici e, in particolare, dei cosiddetti ‘disturbi d’ansia'”.
La crisi, conclude Altamura, “sta mettendo a dura prova gli italiani e oggi è ancora più impellente riuscire a discriminare i cosiddetti casi ‘puri’, direttamente correlati alla particolare situazione economico-sociale, dai casi meritevoli di un’assistenza psichiatrica. Si possono individuare 3 categorie: chi sta vivendo una situazione di disagio e di stress non patologica (la maggior parte delle persone); le persone in cui il disagio e le difficoltà iniziano ad andare più in profondità, provocando per esempio ansia e insonnia; l’ultima è quella in cui ci si addentra nella malattia mentale, in cui viene meno la molla della reattività. Se nel primo caso la maggior parte riesce a far fronte alla situazione sfruttando le proprie risorse, nel secondo bisogna chiedere aiuto al proprio medico o a uno psicologo. Quando si arriva al cosiddetto ‘punto di rottura’ bisogna affidarsi allo psichiatra”.
E’ stato osservato “che ad ogni crescita del 10% del tasso di disoccupazione corrisponde una crescita dell’1,4% del tasso suicidario e che nell’Ue l’aumento della disoccupazione ha portato ad un aumento del 28% della mortalità legata all’alcol”.