Sì bevo tanto, sarà troppo?
(Articolo di Anna Viola tratto dal sito http://d.repubblica.it/benessere/2014/10/27/news/psicologia_bere_donna_alcol_dipendenza-2347640/ del 27 ottobre 2014)
L’aperitivo con gli amici, il bicchiere a cena, l’amaro come digestivo… E poi le occasioni per festeggiare, o al contrario per rilassarsi. Confessioni di una forte bevitrice sociale, che solo a se stessa confida un sospetto.
C’è il bicchiere di vino a cena, ogni sera. Ci sono gli aperitivi con le amiche, un paio di volte a settimana, con uno o due giri di cocktail. Ci sono i weekend ad alto tasso alcolico, perché come fai a uscire per vedere gli amici o andare a ballare e non bere neanche un bicchiere? Ci sono pure la grappa dopo le cene (per digerire) e i bicchieri di Martini che mi piace centellinare mentre scrivo, alla sera (per concentrarmi meglio). «Ma non ti sembra di esagerare?», mi ha chiesto il mio ragazzo una domenica di qualche mese fa, quando dopo una cena fuori con amici ho proposto a tutti di fermarci in un bar sulla via di casa per bere «un ultimo amaro». Non mi sembra, no. Gli ho spiegato che dalle mie parti, nel Nordest, è normale avere sempre una bottiglia di vino sul tavolo durante i pasti, e pure concludere pranzi e cene con un digestivo. Certo, ha ribattuto lui, ma dove li metti i tuoi mojito all’aperitivo con le amiche e i moscow mule in discoteca? Quelle di certo non sono tradizioni della tua regione.
Lo hanno notato anche i miei genitori. Alle ultime feste comandate, tra vigilia, Natale e Santo Stefano, devo aver bevuto parecchio, dagli aperitivi di auguri al bar del paese al vino (un paio di bicchieri per ogni portata) fino ai liquori dei raduni famigliari. A un certo punto, dopo avermi riempito per l’ennesima volta il bicchiere vuoto, mi hanno chiesto: «Ma mica berrai così tanto anche a Milano, vero?». Il mio ragazzo mi ha dato una gomitata, io ho subito risposto che no, ovvio che no. E ho capito che forse avevo davvero qualcosa da nascondere.
Così mi sono documentata. Ho scoperto che la quantità di alcol che bevo mi avvicina più agli alcolisti che ai bevitori normali. Il limite massimo, per le donne, è di una unità alcolica al giorno (due per gli uomini) ed equivale ad un bicchiere di un vino o a un goccio di whisky. Un limite che sforo, non tutti i giorni ma abbastanza spesso: in una settimana dovrei bere sette unità alcoliche per essere nella norma.
Per esempio, prendiamo l’ultima settimana. Lunedì aperitivo con due mojito, martedì mercoledì e giovedì bicchiere di vino a cena più un amaro al martedì per mettermi a posto lo stomaco e un cognac al giovedì mentre scrivevo un articolo, venerdì cena fuori con due bicchieri di vino e birra al pub, sabato bicchiere di vino a cena e due cocktail in discoteca, domenica pizzeria con birra e limoncello di rito. Fanno più o meno 15 unità alcoliche in sette giorni: più del doppio del limite fissato dai medici. A dirla tutta supero anche, e di parecchio, i 6-7 litri di alcol puro che gli italiani bevono in media ogni anno.
Al mio medico, durante il check annuale della mia salute, ho mentito. Da anni mi chiede se fumo e se bevo, e da anni rispondo no ad entrambe le domande: lui crede io faccia parte di quel 30% di donne italiane astemie secondo i dati Oms, non sa che invece rientro nel 22,7% di italiani che, dice l’Istat, consumano alcol quotidianamente. All’inizio mentivo perché mi sembrava di non bere molto, ora – da quando ho scoperto che in effetti sì, bevo – mento perché non ho il coraggio di ammetterlo. Anche perché, quando penso agli alcolisti, mi vengono in mente la scene di abbruttimento e degrado descritte da Emile Zola ne L’assommoir, non certo i miei aperitivi in locali alla moda.
Non sono l’unica a pensarla in questo modo e conosco persone che si spingono oltre: il collega che il vino lo beve anche a pranzo, l’amica che ogni weekend ritorna a casa ubriaca. Nella chat di gruppo con le mie amiche più care su WhatsApp non è raro che compaia un “appello alcolico”: a una di noi succede qualcosa che la mette di malumore, da uno screzio sul lavoro al litigio con il fidanzato, e la reazione immediata è proporre una bevuta di gruppo o una cena ad alto tasso alcolico per rilassarsi e pensare ad altro. Ma nessuna di noi ha sintomi di astinenza, che sono la vera spia dell’alcolismo: i primi a manifestarsi sono sudori, nausee, cefalee e ovviamente il bisogno di bere ogni circa otto ore dall’ultima bevuta. Io non provo nulla del genere e mi sento tranquilla. Però al mio medico, al mio ragazzo e ai miei genitori continuo a mentire.
ALLA SOGLIA DELL’EMERGENZA
Quanti bicchieri bisogna bere per avvicinarsi al rischio dell’alcolismo? I limiti massimi fissati dai medici sono due unità alcoliche al giorno per gli uomini e una per le donne: una volta passato questo confine non si è più bevitori normali ma si entra nella zona a rischio. La definizione tecnica di alcolismo infatti è malattia cronica recidivante, intesa come dipendenza. Significa che quando si smette di bere si sta male: i primi periodi di astinenza, dopo i quali si sente il bisogno di alcol, durano circa otto ore ma poi scendono progressivamente fino ad arrivare a mezz’ora circa. I sintomi sono sudori, vomito, cefalea, nausea e, nei casi più gravi, anche deliri allucinogeni. «Molte volte si comincia proprio con il famoso bicchiere di vino alla sera, per rilassarsi. Un altro comportamento da tenere d’occhio è l’abitudine di bere per attenuare l’ansia in momenti di forte stress», spiega Mauro Ceccanti, responsabile del Centro di riferimento alcologico della regione Lazio all’università della Sapienza. In Italia circa 1 persona su 4 (secondo i dati Istat 2013) consuma quotidianamente bevande alcoliche: il 51,6% beve vino, il 45,3% birra, il 39,9% superalcolici e liquori. L’Italia è anche uno dei paesi europei dove si inizia a bere prima: il primo bicchiere si beve a 11 anni, mentre la media Ue è di 14 anni.