L’associazione del cuore/ Acat, una via per liberarsi dalle catene dell’alcol
(Articolo di Sabrina Fiorini tratto dal sito http://gazzettadimodena.gelocal.it/cronaca/2014/05/23/news/acat-una-via-per-liberarsi-dalle-catene-dell-alcol-1.9283931 del 23 maggio 2014)
Da 25 anni i volontari dei “Club territoriali” aiutano chi è vittima del vizio del bere «Inutile nasconderlo, la dipendenza dalla bottiglia è alla pari con le droghe»
Un percorso di cambiamento, condivisione, confronto e aiuto reciproco, indispensabile per ritrovare la propria autostima e la fiducia negli altri e uscire così dalla dipendenza da alcol, curando non solo il fisico, ma soprattutto la propria mente. Questo è quello che l’associazione dei club alcologici territoriali (Acat) offre da venticinque anni anche a Modena, aprendo le proprie porte a chiunque soffra di problemi legati all’abuso di alcol e desideri partecipare a uno dei tanti gruppi creati sul territorio per trovare sostegno nella fase post-ospedaliera. Fin dalla sua nascita a Trieste nel 1979, l’associazione segue fedelmente i principi sostenuti dal suo fondatore, Vladimiro Hudolin, neuropsichiatra di Zagabria che dopo aver creato il primo gruppo di famiglie di alcolisti chiamato club, esportò in Italia lo stesso modello adottato in Croazia, che aveva già dato risultati positivi. «Oggi in Italia esistono 2000 club – specifica Giuseppe Tarzia, membro dell’Acat Modena – di cui 20 in provincia di Modena, gruppi di discussione e scambio, che sono diventati punti di riferimento importanti attraverso i quali fornire l’aiuto necessario per proseguire il percorso iniziato durante il ricovero ospedaliero. Tuttavia, nonostante gli schemi strutturali siano molto simili, l’Acat non è una vera e propria associazione di volontariato, perché sono i membri stessi ad esserne utenti: siamo persone normali, che hanno avuto difficoltà e che insieme tentano di risolvere i propri problemi, aiutandosi reciprocamente».
Acat Modena, conta dunque 5 club in città, uno a Nonantola e uno a Vignola: ognuno di essi è una comunità multifamiliare, che vede riunite una volta a settimana per un paio d’ore, circa una decine di famiglie, per parlare dei problemi dei componenti scaturiti dalla dipendenza da alcol. «Si parla di una sostanza tossica – continua Tarzia – che l’Organizzazione mondiale della sanità classifica come droga e che se assunta con regolarità nel tempo può causare dipendenza, sconvolgendo la vita della persona, non solo per i danni fisici, ma anche per quelli psicologici, che possono portare alla rottura dei rapporti di relazione, all’isolamento e spesso alla violenza». Legati all’alcol vi sono dunque una serie di problemi che nel loro insieme vengono definiti “alcolcorrelati”: i club hanno il compito di affrontarli, farli emergere dal vissuto di ciascuno, in modo da acquisirne consapevolezza e, con il tempo, risolverli. «Gli incontri sono moderati da esperti – spiega Tarzia – che noi definiamo “servitori – insegnanti”, termine che meglio identifica coloro che servono e allo stesso tempo insegnano al club: non si tratta di medici o psicologi, ma di persone che inizialmente facevano parte del gruppo e hanno poi seguito un corso settimanale di sensibilizzazione per assumere questo ruolo».
«Inoltre – prosegue Giuliana Golinelli, presidente di Acat Modena – la partecipazione al club è del tutto volontaria, chiunque può entrare e uscire senza costrizioni, che possono invece aumentare i rischi di una ricaduta. Nessuno all’interno del gruppo, compreso il moderatore, giudica o intende dare consigli, perché tutto si basa sulla semplice condivisione delle proprie esperienze, che possono arricchire quelle degli altri e da cui è possibile trarre un insegnamento per raggiungere un cambiamento effettivo». Cambiamento, che secondo la presidente, deve riguardare prima di tutto il proprio stile di vita e che non è possibile effettuare da soli, ma unicamente con l’aiuto degli altri e della famiglia. «L’atto di volontà o il ricovero che portano all’astinenza – aggiunge infatti – non sono nel tempo una garanzia; la dipendenza psicologica è molto più dura da superare e le ricadute nel tunnel dell’alcol sono frequenti; per uscirne davvero è fondamentale ristabilire rapporti di fiducia o riparare relazioni che l’alcol stesso ha contribuito ad alterare. Per questo la famiglia è parte del club e rappresenta un elemento centrale. Parenti o amici invece, spesso credono che partecipare alle nostre discussioni non sia necessario, ma anche loro devono in realtà affrontare un cammino difficile, grazie al quale però, possono trovare il modo giusto di affiancare chi si trova a lottare contro questa dipendenza e allo stesso tempo stabilire con loro un confronto diretto, indispensabile per guarire».
Spesso infatti, è proprio la solitudine a far emergere il problema e a impedire una ripresa, creando un processo di emarginazione di cui sono vittime, secondo Tarzi, un numero sempre più alto di persone: «Rispetto al passato – spiega – la nostra società espone maggiormente ai rischi legati all’alcolismo; sono aumentate le condizioni di stress, i casi di disoccupazione e perdita del lavoro, disagi profondi, che inevitabilmente incidono anche sui rapporti familiari. Tutto questo, associato a un vissuto difficile o di sofferenza, può portare alla dipendenza quasi senza accorgersene. L’alcol infatti, è parte del nostro immaginario e della nostra cultura, e il popolo dei bevitori occasionali è ben più ampio rispetto al numero degli alcolisti. Non esiste però un confine netto, che ci permetta di individuare il momento preciso in cui bere diventa una patologia, perché si parla di un’attività progressiva che avviene inconsapevolmente». È quindi per questo motivo che oltre all’impegno rivolto ai club, l’Acat svolge un’ampia attività di prevenzione all’esterno, nelle scuole e nei luoghi di lavoro. «L’anno scorso – afferma Tarzia – circa il 50% delle patenti ritirate in provincia appartenevano a persone fermate in stato di ebbrezza e solo in piccola parte sotto l’effetto di droghe; è un segnale che non deve essere sottovalutato e che sottolinea l’importanza della prevenzione. Al momento collaboriamo con il Centro servizi per il volontariato, condividendo due attività svolte in alcune classi delle scuole . La forza di rifiutare l’alcol deriva infatti dalla conoscenza di questa sostanza, che mi permette di compiere scelte più consapevoli». «Con le nostre azioni – conclude Giuliana Golinelli – tentiamo di migliorare la qualità della vita delle persone, tuttavia il problema non riguarda solo la nostra comunità, ma la società intera e non può essere affrontato settorialmente, ma piuttosto attraverso il dialogo e la creazione di una maggiore sinergia tra le istituzioni, gli ospedali e le unità sanitarie locali, per garantire cure più complete sotto ogni aspetto».