Donne che amano l’alcol Come cresce un problema
L’ambasciatrice involontaria dell’estetizzazione dell’alcol è stata Jacqueline Kennedy. Nel 1962, la televisione trasmise un tour nella Casa Bianca e milioni di cittadini americani rimasero colpiti dalla presenza di due calici di vino sulla tavola presidenziale. «In poche potevano permettersi gli abiti della First Lady — scrive il Wall Street Journal — ma quel cristallo prodotto in West Virginia era un piccolo pezzo di glamour alla portata di molte».
Il rapporto tra donne e alcol nasce allora, limitato inizialmente alle vedove del conflitto mondiale e destinato a crescere e diversificarsi in un mercato che intravide presto nella nuova fetta di consumatrici, quella su cui puntare. A distanza di mezzo secolo, la previsione dei vignaioli californiani si è rivelata vincente: secondo il Wine Institute, le donne sono le principali acquirenti dei 3 miliardi di litri di vino venduti ogni anno negli Stati Uniti.
Quattordici milioni praticano il binge drinking (bere fino alla sfinimento) almeno tre volte al mese: sono professioniste benestanti (guadagno annuale di 75 mila dollari), studentesse di liceo o donne tra i 18 e i 34 anni. Negli ultimi dieci anni il numero di arrestate per abuso di alcolici è aumentato del 30% mentre sono più che raddoppiate le giovani ricoverate per intossicazione da alcol. In Italia, ad esempio, si registrano 24 mila ricoveri all’anno.
Gli scienziati sociali concordano nel legare il crescente consumo al cambiamento del ruolo della donna nella società, scorgendo nei bicchieri di troppo la conseguenza paradossale di una parità impossibile: il corpo femminile — sottolinea il National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism — contiene meno acqua e più grassi, caratteristiche che portano a un assorbimento più rapido delle sostanze. Inoltre ha una dose minore dell’enzima che ostacola l’ingresso dell’alcol nel sangue. Il rischio mortale è doppio: basti pensare che la quantità di drink tollerati è di 7 bicchieri alla settimana e 3 in una volta sola (per gli uomini il numero raddoppia a livello settimanale e arriva a 4 per quella giornaliera).
Per la scrittrice Ann Dowsett Johnston, autrice di Drink: The Intimate Relationship Between Women and Alcohol, la nuova patologia sarebbe «il risultato negativo della pressione contemporanea che spinge le donne ad essere perfette». Fin dalle origini, vodka e affini sono stati associati al relax. Una copertina del 1977 della rivista McCall’s parlava del vino come della «nuova dieta anti-stress». Nello stesso periodo i supermercati affidavano il banchetto delle bevande alle rassicuranti madri di famiglia che invitavano le passanti a fare una pausa dalle fatiche domestiche.
A un crescente abuso di alcolici, non corrisponde però né un’adeguata cura né la dovuta attenzione sociale, negli Stati Uniti, dove — ricorda Johnston — «le aziende di alcolici sono percepite come innocue rispetto a quelle del tabacco», come in Italia: «Nel nostro Paese l’alcol è come il cibo: si può trovare ovunque, anche all’autogrill — afferma Violetta Bellocchio, autrice di Il corpo non dimentica —. Se, durante le feste, persone assumono cocaina, l’anomalia è colta da tutti, ma se le persone si ubriacano, sembra normale».
Negli anni da alcolista, la scrittrice si è sentita spesso sola: «Quando ti vedono magra, si sentono autorizzati a dirtelo. Ma se bevi, tutti tacciono. L’anoressia è ovunque, l’alcolismo un fantasma».