Giovani e sballo, ora esplode la moda dell’alcool negli occhi
(Articolo di Paola Dalli Cani tratto dal sito www.larena.it del 07 maggio 2014)
«L’asta della trasgressione si sta spostando sempre più in alto, si deve cambiare rotta perché lo sballo non può essere la normalità»
Alcol e minori, è emergenza. Non ci gira attorno Pietro Madera, direttore del Servizio dipendenze dell’Ulss 20, a Soave: «La corsa allo sballo non è la normalità. Il fornire in maniera disinvolta alcol a minori e giovanissimi in maniera sicura, per lo meno dal punto di vista della conservazione della patente e della riduzione del rischio di incidenti stradali, non può giustificare la promozione della cultura della malattia. È un gioco ipocrita sulla pelle dei ragazzi». Furioso è dire poco: da medico e da genitore, Madera ha seguito la vicenda dei pullman che portavano bevande alcoliche nel bagagliaio come contorno al viaggio di centinaia di ragazzi veronesi andati a festeggiare la Pasquetta a Jesolo. Ha letto, trovando peraltro solo conferme a ciò che già sapeva, di locali che propongono offerte speciali con pacchetti alcol illimitato, locali che in molti casi rivolgono l’invito già ai sedicenni, se non addirittura a ragazzi più giovani. Chi organizza questi eventi si difende sostenendo che comunque si garantisce la sicurezza personale a ragazzini e ragazzi che, in caso contrario, berrebbero comunque e in più rischierebbero la vita per strada. E il dottor Pietro Madera si scalda: «È una contraddizione promuovere la crociata per l’omicidio stradale, cavalcando l’indignazione popolare, e poi promuovere lo sballo. Le due cose non sono staccate: oggi i ragazzi vanno in pullman, ma domani? La riflessione positiva che mi sarei aspettato dopo la strage di Arcole era quella del no perentorio allo sballo. Lo sballo controllato è promozione della cultura della malattia». Al Serd di Soave oggi sono in cura 27 ragazzi sotto i 25 anni: sei di questi hanno meno di 18 anni. «Ci sono arrivati grazie a genitori attenti», spiega Madera, «ma questa è solo la punta dell’iceberg. Qui si lavora con i ragazzi e i genitori esplorando risposte alternative all’alcol. I ragazzi spiegano l’abuso, che diventa dipendenza, con le problematiche dell’età, perché molto alcol, e questa è un’evidenza, è un eccitante e toglie i freni inibitori». «Il fatto è», prosegue il medico, «che a fronte di disagi naturali, si dà una risposta che è sbagliata e che finisce con il compromettere il corretto sviluppo neurologico, che porta poi ad adulti deresponsabilizzati che coltivano il culto del qui ed ora». La valutazione è duplice e parte dal Binge drinking, cioè l’iperconsumo di alcol in un ridottisimo arco di tempo, per approdare sul terreno degli effetti: «La dipendenza è un processo continuo. Oggi mi bastano tre birre ma tra qualche mese per avere lo stesso effetto me ne serviranno sei. L’effetto, inoltre, è proporzionale all’età: più bassa è, più grave è il rischio che nel tempo il bisogno di assumere alcolici aumenti sempre di più». In Europa il primo contatto con l’alcol avviene in media a 14 anni e mezzo, in Italia si scende a 12 anni e mezzo. Perché? «Va cambiata la cultura e deve cominciare a farlo la famiglia. L’alcol è un’arma di distruzione di massa che, però, non è stigmatizzata come la droga». «L’iniziazione all’alcol in famiglia, magari a un compleanno, è accettata: ma allora, dico io, perché non iniziarli allo spinello? Sotto i 16 anni somministrare alcolici ai minori è reato, perché nelle famiglie invece si lascia bere?». «Se la bevuta fuori pasto e lo spritz sono l’anticamera della dipendenza anche da altre sostanze, l’estremizzazione si chiama Binge drinking ed Eye drinking (o Eye balling che dir si voglia ndr), la nuova tendenza». «L’Eye drinking è la dimostrazione che normalizzando ciò che invece è trasgressione, l’asticella si alza. Oggi il nuovo sballo è quello di versarsi la grappa (o vodka ndr) direttamente negli occhi», dice Madera. Una pratica che tra l’altro può provocare danni irreversibili all’occhio. Come uscirne? «Con una nuova cultura che deve essere costruita da parte di tutti. Bisogna dare alternative, perché nessuno beve in maniera solitaria: bisogna combattere la cultura dello sballo senza consapevolezza delle conseguenze che bolla come “sfigati” quelli che stanno fuori». «Serve la coerenza degli adulti», aggiunge il medico, «che devono stabilire limiti sapendo che i ragazzi li trasgrediranno, che non possono leggere la realtà di oggi con il contesto di 50 anni fa. Serve che i ragazzi abbiano chiaro che sballarsi è trasgressione, non normalità. Se non si agisce, i problemi li vedremo tra 10 anni».