Avere le prove
(Articolo di Nadia TerranovaCronologia articolo tratto dal sito http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2014-03-25/avere-prove-183404.shtml del 26 marzo 2014)
Cosa pensavate che fosse l’alcolismo femminile: un sottile languore mentre cade la pioggia?». Se, per il fatto che Il corpo non dimentica (Mondadori – Strade blu, 2014) è scritto da una donna che racconta il suo essere stata alcolizzata, vi siete creati malinconiche aspettative sfumate di rosa, questo libro non fa per voi. Se, per il fatto che è firmato da una scrittrice di professione, sperate che vi sveli un ammiccante legame tra letteratura e sbronze, rivolgetevi altrove.
Per esempio, potreste leggere The Trip to Echo Spring (Canongate/Picador, 2013) dove Olivia Laing si chiede perché gli scrittori bevono e per darsi delle risposte ne sceglie sei, tutti americani, da Hemingway a Cheever passando per Fitzgerald e Tennessee Williams. Laing racconta che da bambina ha vissuto in una casa ad alto tasso alcolico e sottolinea anche nelle biografie altrui le depressioni e le disfunzionalità familiari respirate durante l’infanzia. Ecco, se cercate un rassicurante percorso causa-effetto non seguite Violetta Bellocchio perché si farà beffe di voi: «L’atteggiamento più frequente in chi guarda la dipendenza dall’esterno è tirare la croce addosso ai genitori. O meglio: lanciare frecciatine insulse verso i genitori. (…) Bene, io ce li ho avuti, due genitori. Due brave persone. Mai visto ubriaco nessuno dei due, ho ricevuto abbastanza abbracci».
Bene, ora siete pronti per farvi divorare dalla scrittura ipnotica di questo memoir (scusate, in Italia non si potrebbe dire memoir, anzi sì, ma solo precisando che «si legge come un romanzo»; non so con che voracità leggiate i romanzi, ma sappiate che una volta iniziato Il corpo non dimentica non alzerete gli occhi fino all’ultima pagina). Anzi no, resta da zittire chi vorrebbe svelarci che dietro ogni storia di dipendenza si nasconde un autocompiacimento, perciò dietro un libro del genere ci sarà uno sfrenato esibizionismo. Bellocchio non soltanto lo sa bene, ma lo sa dire meglio: la dipendenza ti fa vivere una storia d’amore epica con te stesso («L’altra metà di questo amore era tirarsi una coltellata in pancia. A me piaceva»). Allora che cosa porta l’autrice a smettere, ad affidarsi alle cure della dolce psicologa Meredith? (Il nome è di fantasia: ME-redith, con il pronome di prima persona a far da specchio alla voce narrante). Non sappiamo quale fra gli abissi raccontati con sincera e vivace crudeltà sia quello in cui si tocca il fondo, il momento in cui Violetta decide di risalire. I collant bucati per le marchette. L’anoressia sessuale. Lo shopping di bottiglie il pomeriggio e la mappatura dei supermercati da alternare per non destare sospetti. Il vomito. I bagni delle stanze d’albergo di Cannes e di Venezia (mentre vive la sua storia d’amore con se stessa Bellocchio ha anche un lavoro, e spesso ha a che fare con il cinema). L’invidia per le donne carine, fidanzate e normali avvertite come rivali in amore e nel lavoro, l’indifferenza per tutte quelle non sbagliate, perfettamente mediocri.
Misoginia? Al contrario, a settembre 2013 Violetta Bellocchio ha aperto www.abbiamoleprove.com, dove seleziona e pubblica «solo storie vere, una donna alla volta», attraverso un quotidiano lavoro di ricerca nell’universo femminile della non-fiction. “Avere le prove” è un’espressione chiave del libro. Se quello che è accaduto, che hai scelto accadesse, non ha un significato in sé, l’unica cosa che ha senso è lasciare o chiedere una traccia («Se non puoi dire ti amo, puoi dire ho le prove»).
Il corpo non dimentica è un libro duro, beffardo, vorticoso. Facendovi persino ridere, vi convincerà che si può scegliere di credere agli spettri («Tra i fantasmi e i matrimoni solidi, è molto più facile credere ai fantasmi») e agli zombie. Questi ultimi sono un’ossessione che l’autrice inizialmente attribuisce a Meredith e poi al padre, il quale un giorno le rivolge una precisa preghiera: «Dopo morto mi dovrete piantare un paletto di frassino nel cuore». Infine, Violetta si tradisce: «Sono di fede cristiana protestante; ho dunque accettato un morto vivente come leader spirituale e modello di purezza a cui tendere». Gli zombie, i morti viventi. Il gioco perfetto di Il corpo non dimentica è indicarli fra gli alcolisti o fra quelli che lo sono stati, non spegnendo mai del tutto il dubbio che siano invece neanche troppo nascosti fra i “puliti”.