Neuroscienze e gioco d’azzardo
(Articolo di Marcello Esposito 04/02/2014 tratto dal sito http://blog.vita.it/economicamente/2014/02/04/neuroscienze-e-gioco-dazzardo/ )
Il comportamento della mente umana nei giochi d’azzardo è diventato oggetto di studi neurobiologici da quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha inserito il Gioco Patologico nella versione III del “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” (DSM-III). Secondo la versione V del DSM il gioco è una forma di dipendenza comportamentale, non indotta dall’assunzione di sostanze psicoattive, che si caratterizza per la pratica disaddativa, ricorrente e compulsiva del gioco.
In un interessante studio, esposto sul numero di Mente&Cervello, 110, febbraio 2014, p. 94-101, Dreher JC, Ligneul R. e Sescousse G. analizzano le basi neurobiologiche del gioco patologico rispetto a tre fattori: la percezione del rischio, l’attrazione per l’incertezza e il ruolo del denaro come fattore motivante.
1) La percezione del rischio. Come era intuibile, gli autori provano che i giocatori patologici tendono a sovrastimare le probabilità oggettive quando queste sono “piccole”. Questo bias cognitivo è comune a tutti gli essere umani: la nostra mente inizia a “inquadrare” le probabilità correttamente a partire dal 10% in su. Probabilità molto basse non sono correttamente valutate ed è su questo bias che alla fine si basa un gioco popolare come il Lotto. La differenza tra un giocatore patologico e un soggetto “normale” sta nella decisa sovrastima di tali probabilità.
2) L’attrazione per l’incertezza. Durante la fase d’attesa tra una giocata e quella successiva, mentre le “ruote” della slot girano, si attiva una parte del cervello (lo striato) diversa da quella che si attiva al momento della valutazione delle poste in gioco o della eventuale vincita/perdita (la corteccia prefrontale). Guarda caso lo striato è la regione cruciale per la percezione del piacere derivante da cibo o sesso. Questo risultato sembra confermare l’esperienza raccontata dai giocatori patologici, dove il piacere sta nelle fasi di attesa. Ed è il piacere provato in questa attesa che li spinge a giocare compulsivamente. Per quale motivo, l’incertezza determina piacere? Gli autori dello studio riferiscono di una teoria evolutiva secondo la quale l’attrazione per l’incertezza sarebbe stata un elemento determinante per spingere la razza umana a conquistare nuovi spazi e sperimentare nuove tecniche. L’eccesso di immobilismo e la ricerca di sicurezza avrebbero potuto paradossalmente ridurre le probabilità di sopravvivenza dell’uomo. E questo forse getta una luce diversa sul fenomeno ormai noto a noi italiani dell’epidemia di GAP tra i pensionati. Molti giocatori ci hanno infatti riferito di aver iniziato a giocare dopo la pensione. Per vincere la noia, dicono. Ma il senso è più profondo: il bisogno ancestrale di muoversi si fa sentire proprio nel momento in cui abbandonando la propria professione l’individuo si sente “immobilizzato” nella propria casa, nel proprio paese o quartiere. La voglia di incertezza viene allora soddisfatta dalle slot.
3) Infine il ruolo del denaro come fattore motivante. Hanno svolto un esperimento dove il premio del gioco poteva essere una immagine erotica o del denaro. Mentre i soggetti “normali” avevano la stessa motivazione rispetto alle immagini erotiche e il premio in denaro, i giocatori patologici avevano una motivazione sensibilmente maggiore per il premio in denaro. Il cervello del giocatore patologico è quindi meno sensibile ai bisogni primari (cibo, sesso) rispetto a quelli secondari (denaro). Come dicono gli autori “tutto si svolge come se il denaro sostituisse progressivamente ciò che suscita benessere nelle persone sane”.
Interessante allora notare come in realtà il gioco d’azzardo rappresenti molto di più di un fenomeno “sanitario”. Non è difficile legare i 3 punti con l’esperienza di chi ha lavorato sui trading desk (come l’autore dell’articolo). Nella sua semplicità e crudezza il gioco d’azzardo ci offre un’intuizione profonda su qualcosa di decisamente più complesso, come l’organizzazione dei sistemi economici e sociali contemporanei.