«La slot machine era l’oggetto del mio desiderio. Spendevo mille euro al giorno»
(Articolo di Tecla Biancolatte tratto dal sito http://gazzettadimantova.gelocal.it/italia-mondo/2013/12/21/news/la-slot-machine-era-al-oggetto-del-mio-desiderio-spendevo-anche-mille-euro-al-giorno-1.8342048 del 21 dicembre 2013)
La testimonianza di un giocatore d’azzardo patologico in cura al Siipac di Bolzano. «Ho mentito per 13 anni. I soldi non avevano più valore, erano solo un pezzo di carta. Ho perso 150mila euro»
«La slot era l’oggetto del mio desiderio. Pensavo a lei prima di addormentarmi e appena sveglio. I soldi? Avevano perso qualsiasi valore. Per me erano solo un pezzo di carta: un mezzo per stare con la slot machine». Alberto – il nome è di fantasia – da tre mesi vive al Siipac di Bolzano. Si sta curando perché è un giocatore d’azzardo patologico. Ha iniziato a giocare nel bar vicino casa, con gli amici, 13 anni fa. Poi gli amici li ha evitati e ha iniziato a giocare da solo.
«Volevo un rapporto esclusivo con la macchina. Quando inizi a isolarti vuol dire che il sta iniziando la dipendenza. Andavo in quattro bar, poi col tempo qualunque posto era buono nelle varie stazioni dove andavo per lavoro, visto che sono macchinista dei treni. Sono arrivato a spendere mille euro al giorno. Se avessi avuto più capitale, avrei speso di più. Giocavo di notte, di giorno, insomma appena avevo del tempo libero. Ho usato tutti i miei risparmi e ho chiesto due prestiti: uno alla banca, uno alle Ferrovie. In tutto ho perso 150mila euro».
La moglie, i genitori e gli amici di Alberto non si sono mai accorti di niente. «Avevo una doppia vita. Siamo i più abili bugiardi. Ci creiamo un castello di carta, menzogna su menzogna, ma a un certo punto questo castello cade». Il giorno della resa dei conti per Alberto è arrivato quando ha dovuto presentare il suo reddito per iscrivere il figlio al nido.«Non avevo scelta, doveva confessare a mia moglie. La sono andata a prendere al lavoro, e sono scoppiato a piangere, un pianto interrotto».
La moglie lo ha accompagnato al Siipac, dove Alberto sta finendo la terapia. «Il dottore mi dà 10 euro per la giornata e io porto gli scontrini del giorno prima. Poi c’è la terapia di gruppo. Qui ho capito che all’origine della mia patologia c’è l’insicurezza, la non capacità di condividere la sofferenza con le persone che amo. Da domani posso tornare a casa, ma mi porto dietro la paura di ricaderci».