«Ho rischiato di uccidere mia figlia»
(Articolo di Laura Zanella tratto dal sito www.larena.it del 03 dicembre 2013)
Dopo un crescendo di dipendenza e disperazione il difficile percorso di riscatto: «Da tre anni vivo serenamente grazie a chi mi ha dato fiducia»
Birra, vino e alcolici: troppe persone abusano di bevande alcoliche
Sono passate tre settimane dal tragico incidente stradale di Arcole. Quattro giovani vite spazzate via da un’auto senza controllo che si è schiantata contro il veicolo sul quale viaggiavano. Ancora la guida in stato di ebbrezza tra le cause principali. Lo sa bene Anna (nome di fantasia), che per essersi messa al volante ubriaca ha rischiato di distruggere la propria vita e quella della figlia di due anni che viaggiava con lei sul sedile posteriore. Sono passati sei anni da quell’incidente, ma ancora oggi rimane una ferita dura a rimarginarsi, che si riapre ogni volta leggendo delle tragedie della strada che troppo spesso occupano le pagine di cronaca. Anna oggi frequenta uno dei 15 club Acat (Associazione dei club alcologici territoriali) del Baldo Garda e da tre anni ha smesso di bere attraverso un difficile percorso che l’ha portata a riappropriarsi della sua vita. «Ho iniziato a bere quando avevo 18 anni per superare la timidezza», racconta. «All’inizio lo facevo ogni tanto, poi ho iniziato sul lavoro finché il titolare, il gestore di un bar, si è accorto che mancavano bottiglie di liquore e a quel punto mi sono dimessa». Un’umiliazione che fa decidere ad Anna di smettere. Tiene duro per quattro anni. Nel frattempo si sposa, diventa mamma. Trova un nuovo lavoro, stagionale, in un bar. «Per tre anni ho lavorato serenamente, servivo alcolici di tutti i tipi senza lasciarmi coinvolgere». Poi una brusca ricaduta, nel 2006. «Bevevo sempre più spesso, andavo a comprare gli alcolici al supermercato, li nascondevo in macchina per non far vedere a mio marito e ai miei genitori che avevo ricominciato». All’inizio del 2007 Anna entra in uno dei club Acat, supportata dai genitori. Viene ricoverata per due settimane all’ospedale di Negrar. Non serve. A settembre succede il peggio: «Dopo aver bevuto vino, birra e altri alcolici mi sono messa al volante, con me c’era la mia bambina che allora aveva due anni e mezzo». «Ricordo che avevo la vista annebbiata», prosegue, «poi ho tamponato un’auto, sono finita fuori strada e pochi secondi dopo mi sono trovata del parcheggio del supermercato lì vicino». Un flash, un vuoto, poi il buio negli occhi della giovane donna: «Ne siamo uscite illese ma ho visto la morte in faccia, se la macchina fosse sbandata nel verso opposto avrei rischiato un frontale e solo Dio sa come sarebbe andata». Nel sangue Anna aveva un tasso alcolemico di 3,1, sei volte più del limite fissato dal codice della strada, una quantità di alcol in grado di provocare il coma etilico. La batosta accentua i sensi di colpa in Anna senza però riuscire a staccarla dall’alcol: «Nonostante lo spavento, il ritiro della patente, la perdita di fiducia da parte delle persone care, ho continuato a bere». Una caduta dopo l’altra, mentale e fisica, in un crescendo di disagio e dipendenza, di stati depressivi che vincevano nonostante la frequentazione del club Acat. A questo si aggiungevano le voci di paese: «Dicevano che mi avrebbero portato via la bambina, mi vergognavo a uscire di casa, insomma, sentivo di aver toccato il fondo». Forza di volontà, paura e coraggio. Arrivata a quel punto, forse tutte e tre le cose insieme l’hanno aiutata a risalire la china e a riprendere le redini della sua vita. Nel 2010 smette di bere, partecipa al club con rinnovata convinzione e lentamente riconquista la fiducia dei familiari. Riallaccia i rapporti con gli amici e con i genitori degli amichetti di sua figlia, si riprende il diritto a una vita normale. «Gli ultimi tre sono stati anni sereni, spero di andare avanti così», conclude. «L’ho scampata molte volte, i sensi di colpa sono tanti e non posso cancellarli ma li sto superando, finalmente ho capito che i problemi non si risolvono bevendo e in questo la fortuna più grande è stato avere vicino persone che non mi hanno abbandonato».