Teatro Nuovo di Verona (vedi scheda accessibilità)
Rassegna Il Grande Teatro
12-13-14-15-16-17 dicembre 2017, ore 20.45
Incontro con gli attori (ingresso libero) giovedì 14 dicembre, ore 17.00
Il padre
GOLDENART PRODUCTION presenta
Alessandro Haber e Lucrezia Lante Della Rovere IL PADRE di Florian Zeller traduzione e adattamento di Piero Maccarinelli |
Giovedì 14 dicembre alle ore 17.00 al Teatro Nuovo gli attori incontrano il pubblico.
Conduce l’incontro, organizzato in collaborazione col gruppo di ricerca Skenè dell’Università di Verona, Lisanna Calvi.
Tanti applausi e il ricordo di Verona di Alessandro Haber alla prima veronese
Scrittore e drammaturgo francese nato nel 1979 e già tradotto in molte lingue, Florian Zeller ha vinto il Prix Interallié per il suo romanzo La fascination du pire (2004) che l’ha reso famoso e diversi premi Molière per le sue opere teatrali. Nel 2016 The Guardian l’ha definito “il più eccitante scrittore di teatro del nostro tempo”. Il padre (Le père), sua settima opera teatrale vincitrice di due premi Molière, debutta nel settembre del 2012 al Théâtre Hébertot di Parigi con protagonisti l’ottantasettenne Robert Hirsch e Isabelle Gélinas diretti da Ladislao Chollat. Il successo è grandissimo e lo spettacolo replica per due anni sulle scene francesi. Terminate le repliche, Le père viene ripreso nel 2015 a Parigi alla Comédie des Champs-Elysées. Sempre nel 2015 l’opera viene adattata per il grande schermo da Philippe Le Guay col titolo Florida, protagonisti l’ottantacinquenne Jean Rochefort e Sandrine Kiberlain. Grande il successo di Le père anche nella versione inglese. Prima a Londra, nel 2015, al Wyndham’s Theatre e al Trycicle Theatre con protagonisti Kenneth Cranham e Claire Skinner, poi a New York, nel 2016, al Manhattan Theatre Club di Broadway, con il settantottenne Franck Laugella e con Kathryn Erbe nella traduzione di Christopher Hampton, due volte vincitore del “Tony Award”. Apprezzatissima anche la versione spagnola (El padre) con l’ottantaseienne Héctor Alterio e Ana Labordeta. Con questo allestimento Le père viene proposto per la prima volta in Italia. Tra il testo di Zeller e Maccarinelli è stato amore a prima vista. «Quando vidi Le père a Parigi – racconta il regista – rimasi sotto la neve ad aspettare che il grande Hirsch uscisse da teatro. La sua interpretazione, che coincideva con la centesima replica, era stata memorabile. E quella sera stessa avevo i diritti per l’edizione italiana. È un testo perfetto quello di Zeller. Lo spettatore non capisce subito le situazioni e così si ritrova a vivere lo stato confusionale di Andrea che confonde tempi, luoghi e persone.
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Per questo la scena, costituita da pannelli-pareti, cambia in continuazione suscitando un certo spaesamento. Gli stessi attori, nei primi giorni di prova, si ritrovavano in percorsi dalle strane connessioni che potevano mettere in difficoltà. Haber – conclude Maccarinelli – è molto più giovane degli attori che finora hanno interpretato Andrea: una “ferocia” in più che rende ancora più tragico questo testo che Zeller ha costruito al millimetro facendolo sembrare all’inizio una commedia».
La trama: Andrea, uomo molto attivo nonostante l’età, mostra i primi segni di una malattia che potrebbe far pensare all’Alzheimer. Anna, sua figlia, molto legata a lui, fa il possibile per il benessere del padre e perché stia lontano dai pericoli. L’avanzare della malattia la costringe a farlo andare a vivere nell’appartamento che condivide con il marito. Anna è convinta che questa sia la soluzione migliore. Ma le cose non vanno così: Andrea non è disposto a rinunciare alla propria indipendenza… Il morbo avanza e tutto a poco a poco per
Andrea scompare: i punti di riferimento, i ricordi, la felicità della famiglia. La perdita di autonomia del padre progredisce a tal punto che Anna è costretta a decidere per lui e contro la sua volontà.
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IL GRANDE TEATRO. Lunghi applausi al Nuovo per la «prima» de «Il padre» di Florian Zeller
Haber mattatore trascina tra i fantasmi della mente
Una straordinaria prova d’attore, brava anche Lucrezia Della Rovere Lo spettatore «entra» nel disorientamento di chi soffre di Alzheimer
mercoledì 13 dicembre 2017 SPETTACOLI, pagina 55
Alessandra Galetto
Haber mattatore nel racconto di un ultimo autunno della vita in cui i ricordi diventano fantasmi sempre più sbiaditi e drammaticamente confusi, fino a lasciare, di quell’albero un tempo rigoglioso che era Andrea, solo rami secchi, in un turbinio di perdita che ha il sapore amaro degli addii. Ha ben ragione il pubblico a non smettere di applaudire questo terzo appuntamento della rassegna Il Grande Teatro che ha debuttato ieri sera in un Teatro Nuovo affollato: Il padre di Florian Zeller, con Alessandro Haber e Lucrezia Lante della Rovere protagonisti, per la regia di Piero Maccarinelli, non delude le aspettative e anzi mostra l’attore e protagonista in uno stato che verrebbe da dire di grazia. La storia è quella, appunto, di Andrea, il padre interpretato da Haber, un uomo molto attivo nonostante l’età, che mostra però i primi segni di Alzheimer. Anna (Della Rovere), sua figlia fa il possibile perchè il padre stia lontano dai pericoli. L’avanzare della malattia la costringe a farlo andare a vivere nell’appartamento che condivide con il marito. Ma Andrea non è disposto a rinunciare alla propria indipendenza. Intanto il morbo avanza e tutto a poco a poco per Andrea scompare: i punti di riferimento, i ricordi, la felicità della famiglia. La perdita di autonomia progredisce al punto che Anna è costretta a decidere per lui e contro la sua volontà. In tutto ciò Zeller trova un geniale espediente narrativo costringendo lo spettatore a compiere insieme ad Andrea la catabasi nella perdita di ogni riferimento, in quella nebbia che va e viene e che, nei momenti di lucidità, gli fa più volte ripetere «qualcosa non va»: con stizza e rabbia verso chi gli sta intorno, come sentendosi umiliato e frastornato, come chi si muove dentro l’ovatta di un sogno-incubo dal quale non riesce a svegliarsi.Diventiamo così, man mano, partecipi dello smarrimento di Andrea, delle sue visioni nell’elegante quanto freddo appartamento parigino della figlia, del suo progressivo e irreversibile distacco dalla realtà. Sperimentiamo, con angoscia, la drammatica condizione del disagio mentale perchè la pièce continua a mescolare, attraverso una serie di brevi segmenti narrativi, le scene reali e quelle immaginate o “deformate” da Andrea (ricorrendo, in alcuni casi, a una sorta di effetto replay): ce ne arriva un inestricabile labirinto percettivo in cui finiamo inesorabilmente per perderci anche noi spettatori, provando una forte “scossa empatica” nei confronti del protagonista. Che, lo ripetiamo, è davvero un Haber in stato di grazia, capace di espressioni, piccoli tic, gestualità straordinari, senza mai una sbavatura di troppo, con intensità e senza eccessi. Così come convincente è Lucrezia Lante della Rovere nel ruolo di figlia costretta ad una scelta drammatica. Man mano che nell’appartamento svaniscono i mobili (l’ultima catabasi verso la casa di riposo) sparisce, come in un doppio metaforico, ogni aggancio alla realtà nella coscienza di Andrea. Finchè sarà lui a gridarci che «sono un albero che perde tutte le foglie». Solo allora, perduta l’ultima foglia, arriva una sorta di catarsi: è lo sfogo liberatorio del finale, ultima, tremenda regressione. Allo spettatore la dolorosa emozione di ascoltarlo.
IL GRANDE TEATRO. Dal 12 al 17 dicembre al Nuovo il lavoro molto apprezzato di Florian Zeller
La sfida dei ruoli estremi
Così Haber sarà Andrea
In «Il padre» l’attore, affiancato da Lucrezia Lante Della Rovere, si cala nei panni di un malato di Alzheimer «Testo capace di stordire, stupire e commuovere»
mercoledì 06 dicembre 2017 SPETTACOLI, pagina 47
di Alessandra Galetto
«Quando porti in scena un classico, il titolo è già una garanzia: suona più rassicurante per il pubblico, perchè si sa di cosa si tratta. Da anni però preferisco fare scelte magari rischiose, affrontando un teatro di autori contemporanei, capace di far riflettere, o di spiazzare, con ruoli più estremi». Affermazione di poetica che Alessandro Haber premette al suo ultimo lavoro, Il padre di Florian Zeller per la regia di Piero Maccarinelli, con Lucrezia Lante della Rovere, terzo spettacolo in cartellone dal 12 al 17 dicembre per la rassegna Il Grande Teatro al Nuovo. Spiegando anche che «l’anno scorso avevamo fatto 33 date, quest’anno ne abbiamo in programma 115: a volte rischiare paga». L’allestimento (che ha debuttato lo scorso gennaio a Massa Carrara) propone per la prima volta in Italia – nella traduzione e adattamento di Paola Comencini e dello stesso Maccarinelli – Le père del trentottenne Florian Zeller andato in scena nel 2012 al Hébertot Théâtre di Parigi e rivelatosi subito un grande successo: tanto da rimanere in scena per due anni, vincere il prestigioso Prix Molière nel 2014 e diventare film nel 2015 col titolo Floride. Lo spettacolo di cui è protagonista parla di una malattia oggi diffusa, con pesanti conseguenze anche sociali: l’Alzheimer. Il personaggio che lei interpreta, Andrea, il padre appunto, vede man mano sfumarsi i contorni della realtà nella perdita della memoria. Che tipo di lavoro ha fatto per immedesimarsi in questo ruolo? Ho cercato di affrontarlo prima di tutto con la mia sensibilità, scavando per trovare la strada dentro di me. Il lavoro è molto interessante perchè Zeller mette il pubblico, per così dire, nella testa di Andrea: in questo modo lo spettatore si ritrova spiazzato, e all’inizio si avverte un certo smarrimento, che però poi diventa partecipazione, immedesimazione, fino alla catarsi finale. C’è quest’uomo che non ha nè passato nè presente nè futuro, privato di orizzonti, e c’è la condizione drammatica di chi sta intorno a lui. Resa più dura dal fatto che Andrea ogni tanto torna in sè e allora ha grandi sbalzi d’umore, avverte che c’è qualcosa che non va e reagisce con cattiveria repressa, che è poi una forma di difesa.Dunque non uno studio diciamo realistico, nel senso di un avvicinarsi alla malattia con l’osservazione di chi è colpito da Alzheimer, quanto un’indagine e un percorso interiore per questo lavoro? Sì, è così. Ho letto certo alcuni studi, mi sono documentato sulla malattia, ma poi, come è il mio modo di fare teatro più in generale, mi sono lasciato travolgere e affascinare dal testo e dalla mia ispirazione. Così avevo fatto anche per un altro “ruolo estremo” con «Il visitatore» di Eric-Emmanuel Schmitt, con il quale sono venuto al Teatro Nuovo due anni fa. Unica cosa: mi ha fatto riflettere durante una prova il consiglio di una signora che era presidente di una associazione per i malati di Alzheimer, che mi suggeriva di non trascurare il senso di paura e angoscia nei brevi momenti di lucidità di Andrea. Era giusto: poi, sono partito proprio dalla fisicità, dal come occupare lo spazio.Con Verona ha un legame da lungo tempo…Verona è una città che amo, non solo per i suoi teatri. Sono vissuto a Verona dai 9 ai 17 anni, nel quartiere di Santo Stefano, abitavo in via Mentana. E se fin da bambino sapevo che avrei voluto fare l’attore (ma allora pensavo solo al cinema), la mia scoperta del teatro è avvenuta proprio al Nuovo, quando a 14 anni ho assistito a «Chi ha paura di Virginia Woolf?» con Enrico Maria Salerno. È stata la grande rivelazione.E oggi? Tra cinema e teatro, dove batte più forte il suo cuore?Il teatro è la mia casa, perchè è lo spazio più vero dove si indaga la vita. Il cinema offre moltissimo, ho appena finito un film che uscirà la prossima stagione, opera prima di Alessandro Capitani. Ma di fronte ad un aut-aut scelgo il teatro.
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La rassegna ha sottoscritto il manifesto dei teatri accessibili e ha aderito all’iniziativa Teatri 10 e lode promossa dall’Associazione disMappa: compatibilmente al numero dei posti riservati, spettatore con disabilità e accompagnatore potranno assistere a ogni spettacolo al prezzo speciale di 10 euro.
Vendita biglietti al Teatro Nuovo, tel. 0458006100.
Servizio biglietteria anche presso BOX OFFICE, via Pallone 16, tel. 0458011154.
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