Alcol: un piacere o un bisogno a Cuneo e altrove?
(Articolo-intervista a Dott.sse Giulia Mattalia e Debora Bessone tratto dal sito http://www.cuneocronaca.it/notizia.php?nID=7216 del 19 febbraio 2016)
GIULIA MATTALIA e DEBORA BESSONE – L’alcol nella nostra società è consumato quotidianamente: fin da bambini siamo abituati a vedere adulti che consumano alcolici, solitamente in modo moderato e socialmente accettabile (ad esempio durante i pasti o in occasioni sociali). Tuttavia è esperienza comune anche assistere a situazioni di abuso di alcol, da parte di persone di ogni età: basti pensare ad esempio a situazioni di divertimento, dove è comune vedere giovani e meno giovani consumare alcolici fino ad ubriacarsi.
Ma cosa rende questa bevanda così potente? Chimicamente l’alcol esercita un’azione depressiva sul sistema nervoso, ovvero lo “spegne”. Questo ha degli effetti sia dal punto di vista fisico che psicologico. Nel primo caso, l’alcol agisce sulla respirazione, sul cuore, sulla circolazione, deprimendone il normale funzionamento; altera tutte le funzioni dell’organismo e, per quanto disinibisca certi tipi di comportamento, come quello sessuale, ne compromette la prestazione.
Ma è appunto la disinibizione l’effetto psicologico e comportamentale maggiormente osservabile. Esso è assolutamente soggettivo e, per alcune persone, se ne possono registrare gli effetti già con dosi limitate. Spesso si dice che l’alcol sia “coraggio liquido”, per sottolineare il fatto che l’azione deprimente agisce anche sull’ansia, diminuendola e ammorbidendo alcune paure e inibizioni. Oltre a questi effetti disinibitori, questa bevanda crea ripercussioni anche sulla memoria, sulla difficoltà di concentrazione e di comprensione. Tutto ciò provoca un rallentamento dei riflessi, motivo principale per cui è necessario non mettersi alla guida quando si ha bevuto.
Ma al di là degli effetti che l’alcol può avere su chi ne fa uso, vorremmo concentrare la nostra riflessione sul motivo che può spingere una persona a bere. L’alcol assume un’importante rilevanza dal punto di vista sociale, come forma di aggregazione e di condivisione: il giovane si avvicina ad esso spesso in occasioni di feste e uscite con gli amici. In alcuni casi si limita a qualche drink, ma a volte esce già con la consapevolezza di arrivare a fine serata con una sbornia. Tutto ciò appare socialmente accettabile, soprattutto dal gruppo dei pari, fino ad arrivare al paradosso secondo cui chi non ne fa uso viene deriso e a volte lasciato fuori dai festeggiamenti.
L’effetto disinibente dell’alcol ha poi conseguenze che possono apparire positive: basti pensare a situazioni potenzialmente imbarazzanti (come cantare davanti a sconosciuti in un karaoke, o dichiararsi a una persona che ci piace) che con l’aiuto di questa sostanza ci appaiono meno difficili da affrontare; tuttavia proprio perché ci dà quel “coraggio liquido” di cui pensiamo di aver bisogno, a volte fa sì che si dicano o si facciano cose pericolose e che possono avere conseguenze anche drammatiche.
Ciò che spesso rimane nell’ombra, però, è il fatto che l’alcol non risolve i problemi, li nasconde per qualche ora, ma essi tornano a farsi vivi non appena l’effetto della sbornia finisce: se si è timidi si torna timidi, se si ha ansia si ritorna ansiosi, se si è preoccupati si rimane preoccupati, e via di seguito.
Ma qual è il passaggio da un uso sporadico di alcol, magari in occasioni di svago sociale, a una vera e propria dipendenza? Il problema sorge quando l’alcol diventa una necessità e la persona non riesce più a farne a meno.
Purtroppo scivolare nella dipendenza non è così difficile, soprattutto se vi sono una serie di fattori che interagiscono: l’alcolismo è una malattia cronica con fattori genetici, psicosociali e ambientali che ne influenzano l’insorgenza. Come ogni dipendenza, le sue principali manifestazioni sono i sintomi di astinenza (malessere dovuto all’interruzione dell’uso della sostanza), tolleranza (cioè la situazione in cui il soggetto ha necessità di aumentare la quantità di sostanza per ottenere l’effetto desiderato) e il cosiddetto carving, che consiste nel persistente e irrefrenabile desiderio di fare uso della sostanza per sperimentarne gli effetti.
Inoltre, tutto ciò spesso è accompagnato dalla negazione del problema; ciò significa che difficilmente la persona che ne soffre chieda aiuto, ma sono i familiari e chi ci vive insieme spesso a dover fare il primo passo affinché il caro riconosca il problema e si faccia aiutare. Un altro ostacolo non indifferente alla terapia è il senso di vergogna che i dipendenti da sostanze provano nel momento in cui iniziano ad essere consapevoli di avere un problema: si vergognano perché non riescono a smettere, perché dicono bugie, perché spendono molti soldi, e così via.
Il trattamento dell’alcolismo prevede un lavoro multidisciplinare che vede coinvolti interventi farmacologici, psicologici e psicosociali. È un lavoro complesso e faticoso, che parte dalla raccolta della storia di vita per arrivare a lavorare sul significato che la sostanza ha assunto per quella persona; si cerca di riscoprire le emozioni e i pensieri che si volevano annullare con l’alcol, forse perché scomodi o non gestibili. Tutto ciò per poter dare un senso quello che accade e alle emozioni che fino a quel momento, per la difficoltà a saperle riconoscere e affrontare, sono state tenute sotto controllo in modo disfunzionale proprio attraverso l’uso della sostanza.