Dieci anni d’inferno davanti alle slot machine
(Articolo di Francesca Valente tratto dal sito http://corrierealpi.gelocal.it/belluno/cronaca/2016/02/14/news/dieci-anni-d-inferno-davanti-alle-slot-machine-1.12952816 del 14 febbraio 2016)
«Non ci stavo più di mezz’ora al giorno ma mi giocavo anche 200 euro al colpo Mia moglie ha scoperto tutto, poi per fortuna ho trovato il gruppo di auto aiuto».
FELTRE. D.B. ha 51 anni, un paio di occhi che brillano e un sorriso sereno e rassicurante. Ha una lunga esperienza nel settore commerciale e una famiglia, con cui abita nel Feltrino. Oggi sta bene, ma ha dovuto superare un grandissimo scoglio: per 10 anni è stato malato di macchinette. Qualcuno la chiama “ludopatia”, qualcun altro “gioco d’azzardo patologico”. Sara Sebben, la dottoressa che coordina il gruppo di auto aiuto dell’Acat Dolomiti Feltrine, preferisce il termine “denaromania”: «Perché se invece di vincere soldi si vincessero caramelle, nessuno giocherebbe».
D.B. ha iniziato a farlo 13 anni fa, proprio nel bar davanti a casa. «Era un periodo brutto, con una serie di difficoltà e lutti familiari. Un giorno sono andato al bar, ho visto la macchinetta e ho iniziato a giocare». Da quel giorno, per sette anni, il tintinnare della monetina che scivola nella bocchetta della slot machine era il suono più confortante. «Non ci perdevo più di mezz’ora al giorno ma arrivavo a giocare anche 200 euro al colpo, perché quando sei sotto perdi di vista il valore del denaro», ammette senza vergogna. «Più le cose a casa peggioravano, più io mi rintanavo nel gioco. Ma non era il vero motivo, perché appena tutto è passato, ho continuato a giocare. Cercavo di non perdere mai troppi soldi, altrimenti non sarei riuscito a giustificarlo a mia moglie. In famiglia non è mai mancato niente».
Fortunatamente, nel 2010, è scoppiata la prima bomba: «La banca mi aveva sospeso la rata del debito, così ho chiesto a mia moglie di cambiare istituto per rinegoziarlo. Lei si è insospettita, ma io non ho saputo mentirle. Le ho detto tutto e le ho promesso che non avrei più giocato». Per un mese ci è anche riuscito. Poi ci è ricaduto. «Ho continuato a giocare insistentemente, senza nemmeno avere la paura di essere visto. In quei momenti, l’unica frase che mi girava per la testa era “tanto posso smettere quando voglio”. Ma era una menzogna».
Per fortuna che la moglie, per evitare ulteriori crisi, teneva sotto stretto controllo i conti della famiglia, seppur separati: «Un giorno di tre anni fa mi ha chiesto che fine avessero fatto quei 40 euro spariti dal mio conto. Non mi ci è voluto molto per confessare». L’aiuto fermo e saldo della donna, assieme a quello dei suoceri, è stato fondamentale: «Hanno contattato il Serd, con cui ho iniziato una percorso con lei una volta alla settimana per un mese. Poi ho continuato per tre mesi da solo». All’epoca oltre al Serd non c’era niente: chi non ricorreva o rifiutava il servizio era condannato alla sola forza volontà. Ma il 6 febbraio 2014, come uno squarcio nell’ombra della dipendenza, è nato il gruppo di auto aiuto. «Al primo incontro eravamo in quattro», ricorda D.B., che continua a partecipare nonostante non ne abbia più bisogno, visto che non tocca più una slot da due anni. «Voglio esserci perché ci tengo».
E ci tengono anche i partecipanti, perché in lui vedono una figura di riferimento, un esempio da imitare e il risultato di un percorso che anche loro stanno facendo. «Oggi sono una persona tranquilla, frequento lo stesso bar ma non ho più avuto l’impulso di giocare».
Ora che D.B. ha finito di aiutare se stesso, pensa soltanto di aiutare gli altri: «Ho provato a convincere qualcuno a venire al gruppo, ma finora ho ricevuto solo risposte sgarbate». A questo, la dottoressa replica: «Non è mai tempo perso. Non bisogna lasciarsi sminuire, lo scopo è informare che dalla spirale si può uscire».