È lo sballo il nemico da battere
(Articolo di Gianfranco Bettin tratto dal sito http://iltirreno.gelocal.it/italia-mondo/2015/08/11/news/e-lo-sballo-il-nemico-da-battere-1.11918796 del 11 agosto 2015)
Illudersi di riprendere il controllo di questa dinamica chiudendo quei luoghi o facendo la faccia feroce dopo una tragedia, significa non capire cosa accade davvero.
Non sono le discoteche – come il Cocoricò o il Guendalin, dove nei giorni scorsi sono morti due ragazzi- ad essere oggi fuori controllo: è gran parte della nostra società ad aver perso la capacità di tenere a bada usi e abusi, da parte di troppi giovani e non solo, di sostanze lecite o illecite. La “cultura dello sballo” non appartiene a una nicchia, a una generazione o a parte di essa, o a certi luoghi, come appunto le discoteche. È parte influente di uno stile di vita diffuso, trasversale, sia socialmente che culturalmente.
Illudersi di riprendere il controllo di questa dinamica chiudendo quei luoghi o facendo la faccia feroce dopo una tragedia, significa non capire cosa accade davvero. O far finta di non capire per far finta di agire, per dar qualcosa in pasto a una pubblica opinione naturalmente colpita, sconvolta, di fronte al ripetersi di simili drammi. L’overdose, l’abuso di sostanze (alcol compreso, non manca mai), è la prima causa di morte, diretta o indiretta, tra gli adolescenti italiani. Ovvio che induca preoccupazione, angoscia, specie nell’imminenza dei singoli fatti, in particolare nel contesto in cui si producono. Così, le autorità provano a far qualcosa. Magari straparlando, come il sindaco di Gallipoli l’altro giorno, il quale, però, nel suo modo rozzo («Se non sanno educare, le famiglie non procreino»), ha detto un pezzo di verità.
Il limite, oltre che nel modo, consiste nel non capire che oggi nessuna famiglia ha da sola la possibilità di “educare”, pur avendo ovviamente un grande ruolo nella formazione dei propri figli. Stimoli e influssi educativi e diseducativi arrivano ai più giovani da ogni parte, oggi. Il mercato delle droghe e degli alcolici, uno dei più potenti al mondo, forse il più potente in assoluto, possiede innumerevoli “mani invisibili” per condurre a sé i clienti a cui mira e che conquista con messaggi culturali, esistenziali, esperienziali, ai quali nessun diktat bigottamente proibizionista, nessuna predica alla Giovanardi, potrà mai opporre vera resistenza. Anzi, come la storia insegna, il mero proibizionismo aumenta il valore e il fascino della merce vietata.
Reagire a queste tragedie significa dunque ripensare globalmente le strategie educative, mirando alla promozione di una piena autonomia di giudizio da parte dei più giovani di fronte a tutte le sostanze potenzialmente pericolose, comprese quelle legali (come alcol, tabacco, farmaci). Significa, come in certe realtà si è fatto, andare (con operatori e servizi) nei luoghi frequentati dai giovani, nelle discoteche, e aprirli, non chiuderli ottusamente, a presenze educative disincantate, capaci di dialogare con l’esperienza reale dei giovani, metterli sull’avviso, “accompagnarli” a volte nella traversata delle loro notti euforiche e inquiete, notti sempre di ricerca, di evoluzione. Certo, significa anche combattere il narcotraffico, le grandi organizzazioni come lo spaccio di strada, ripulire per quanto possibile i ritrovi di massa, pretendere correttezza e trasparenza nella gestione dei locali, e magari riformare le leggi in materia in senso più pragmatico e meno ideologico delle attuali fallimentari e inique normative.
Ma significa, più radicalmente, ripensare al vuoto educativo in cui da almeno vent’anni si lasciano crescere le nuove generazioni e alla solitudine e alla povertà di risorse che gravano su chi, a scuola, in famiglia, nella società, coltiva comunque la vocazione e il dovere di non lasciarle allo sbando, dentro una scuola o una discoteca – e di fronte al proprio futuro.