Quando il fegato deve mettersi a dieta
(Articolo di Simona Regina tratto dal sito http://www.healthdesk.it/medicina/quando_il_fegato_deve_mettersi_a_dieta/1426005001 del 10 marzo 2015)
È una tipica malattia del benessere, figlia dell’abbondanza e degli eccessi a tavola. La steatosi epatica, conosciuta anche come fegato grasso, è causata da un accumulo di trigliceridi nelle cellule del fegato.
«A livello mondiale ne soffre il 25% della popolazione generale», spiega Claudio Tiribelli, professore di gastroenterologia all’Università di Trieste e direttore della Fondazione Italiana Fegato. «Non fanno eccezione i bambini, a causa dei sempre più frequenti scorretti stili di vita: mangiano troppo (e male) e si muovono poco». Sotto accusa, secondo l’epatologo, anche il consumo smodato di bevande ricche di fruttosio e merendine, «che sono ipercaloriche pur in volume molto piccolo».
«Alla base della malattia – aggiunge Tiribelli – ci sono una serie di fattori, quali per esempio l’obesità (specie viscerale) e la resistenza all’insulina, legati in parte alla genetica e in parte al comportamento alimentare e alla sedentarietà».
Non a caso l’indice di massa corporea è un buon predittore di incremento di grassi nelle cellule epatiche. «E l’obesità viscerale addominale, in altre parole un giro vita abbondante, è un campanello d’allarme che può far sospettare la malattia, di fatto asintomatica (in alcuni casi può causare affaticamento, debolezza e portare a un ingrossamento dell’organo)”.
Per la diagnosi si ricorre all’ecografia: e se il fegato risulta molto più brillante del normale significa che è sovraccarico di grasso.
Dieta e sport
La terapia della steatosi epatica si poggia innanzitutto su una corretta alimentazione e una regolare attività fisica (corsa, bicicletta, nuoto) per tenere sotto controllo il peso e ridurre la massa grassa corporea. «E nei casi in cui c’è una conclamata riduzione della sensibilità all’insulina – puntualizza Tiribelli – si ricorre anche a farmaci ipoglicemizzanti».
«In ogni caso, la prima cosa da fare è mettere al bando la sedentarietà e mettersi a dieta. Facendo attenzione alla quantità di quello che mettiamo nel piatto: è l’eccesso calorico, infatti, a creare problemi, non tanto la qualità di ciò che mangiamo».
Verso nuove terapie
Intanto, si affacciano nuove ipotesi di trattamento. «Diversi studi hanno dimostrato le proprietà antiossidanti della silibina, un farmaco nutraceutico, e oggi sappiamo che lo stress ossidativo è alla base di varie patologie. Vogliamo quindi verificare se possa essere utile nel trattare la steatosi epatica non alcolica», spiega l’epatologo.
La Fondazione Italiana Fegato coordina infatti il progetto Silimet: uno studio nazionale che coinvolge 49 centri epatologici italiani, per capire se l’uso del nutraceutico, già da tempo usato per il trattamento di diverse malattie del fegato, possa essere efficace per eliminare o almeno ridurre i grassi in eccesso.
Dopo la definizione del protocollo sperimentale, il progetto è stato approvato a dicembre dai vari comitati etici ed è operativamente partito il 1 febbraio. Durerà fino al 31 dicembre 2015.
«Confronteremo due gruppi di pazienti», spiega il professore che dirige anche il Centro Studi Fegato in Area Science Park a Trieste. «Uno si sottoporrà a una dieta normocalorica, coniugata all’esercizio fisico, l’altro invece assumerà anche il farmaco. Così vogliamo verificare se il nutraceutico contribuisce a ridurre la steatosi».