Tutte le armi per curare i malati del gioco d’azzardo
(Articolo di Ruggiero Corcella tratto dal sito http://www.corriere.it/salute/neuroscienze/15_marzo_06/tutte-armi-curare-malati-gioco-d-azzardo-42cadfa4-c405-11e4-8449-728dbb91cb1a.shtml del 09 marzo 2015)
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è la strategia più efficace (anche se non l’unica) per aiutare chi ha sviluppato la dipendenza da slot machine.
Trovarsi in compagnia degli Aleksej Ivànovic di Dostoevskij o dei tenenti Willi di Arthur Schnitzler certo non li conforta: ai giocatori d’azzardo patologico veri, le diverse incarnazioni letterarie del mito della sfida alla sorte al più possono testimoniare di un dramma antico e irrisolto. Visto inizialmente come un disordine del controllo degli impulsi, il gioco d’azzardo patologico è ora considerato e studiato come una vera e propria dipendenza comportamentale. Una dipendenza che porta con sé un corteo di conseguenze drammatiche: crisi coniugali, divorzi, figli costretti a diventare adulti prima del tempo, difficoltà economiche, debiti, usura, assenze dal lavoro, rischi per la sicurezza, attività illegali, compromissione della salute. «Non abbiamo solamente i malati di gioco — dice Fausto D’Egidio, presidente di FederSerD, la Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze — ma tutte le persone che girano intorno a loro e hanno disperatamente bisogno di aiuto per gestire una situazione esplosiva».
I segnali della dipendenza
Spesso infatti le famiglie non si accorgono del malessere di chi è caduto nella trappola del gioco d’azzardo. Alcuni segnali però possono far capire quando si sviluppa una dipendenza che, come spiega il professor Giovanni Biggio dell’Istituto di Neuroscienze del CNR di Cagliari, «coinvolge le aree del cervello che presiedono ai meccanismi di piacere e gratificazione e ai processi decisionali». «Quando il gioco — dice il professor Gabriele Zanardi del Dipartimento di Sanità Pubblica, Neuroscienze, Medicina Sperimentale e Forense dell’Università degli studi di Pavia — diventa un’esigenza per la quale vengono messe da parte tutte quelle attività sociali, lavorative e relazionali dove ormai anche il principio di paura rispetto alla vergogna, al fallimento, al rifiuto sociale lasciano spazio alla necessità del gioco, quando cominciano a entrare dei processi di pensiero distorti che allontanano il soggetto dalla verità e costruiscono una realtà fittizia siamo già ad una configurazione patologica perché c’è una perdita del contatto con la realtà ».
Gli interventi possibili
Anche se non esistono Linee guida nazionali sui percorsi di trattamento, i Servizi pubblici meglio organizzati mettono a disposizione una serie di interventi multi-professionali e integrati che coinvolgono anche la famiglia. Un programma-tipo può prevedere un eventuale ricovero, colloqui individuali, gruppi di psicoterapia, cure farmacologiche, gruppi per i familiari. Spesso vengono offerti anche un tutoraggio economico per risanare i debiti, interventi sociali per affrontare le eventuali questioni legali e socio-economiche, l’attivazione di una rete di sostegno sociale istituzionale e del volontariato. E se il primo passo verso la cura e la possibile guarigione parte sempre dal riconoscimento della malattia da parte del giocatore, le terapie ritenute oggi più efficaci sono quelle di tipo psicologico e psicoterapeutico. «La letteratura internazionale indica la terapia cognitivo-comportamentale come la modalità più efficace di trattamento — sottolinea il professor Maurizio Fea, psichiatra responsabile dell’area Gioco d’azzardo patologico di FederSerD —. Esistono anche forme di trattamento fra giocatori e familiari, per esempio come accade nei gruppi di mutuo aiuto o anche in quelli condotti nei Servizi, che non sono esattamente il canone della terapia cognitivo-comportamentale, ma che comunque pescano molto in quel bacino».
Le terapie
E i farmaci? «Non esiste una terapia farmacologica per il gioco d’azzardo — mette in chiaro Fea —. Il gioco svolge una funziona equilibratrice rispetto allo stato dell’umore. Nel momento in cui si cerca di mettere sotto controllo questi aspetti è possibile che ci sia una recrudescenza dello stato dell’umore alterato, quindi la terapia farmacologica va a trattare gli aspetti patologici correlati, come depressione e stati d’ansia, sia in fase di gioco che di dismissione dal gioco». La terapia cognitivo-comportamentale interviene sulla motivazione e ha come obiettivo la ricostruzione cognitiva. Aiuta cioè i pazienti a distruggere quei pensieri, quelle false aspettative su cui il giocatore costruisce in automatico il suo comportamento, per poi riportarlo alla realtà. Proprio per valutare l’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale sui giocatori d’azzardo patologico, l’Università degli studi di Pavia e l’Università degli studi di Camerino stanno lavorando ad uno studio multicentrico nazionale in attesa di finanziamento. Il progetto AMPA (Advance Multidisciplinary Project on Addiction) prevede l’arruolamento di 30 giocatori d’azzardo patologico che saranno messi a confronto con 60 tossicodipendenti (30 eroinomani e 30 cocainomani). «L’obbiettivo — racconta il professor Zanardi, coordinatore dei AMPA — è di valutare se esistano fattori in grado di “predire” una fragilità del comportamento nei tre tipi di dipendenza e quindi un abbandono della terapia da parte del paziente. Questa procedura permetterà “online” di osservare che effetti il trattamento può produrre e valutare quali caratteristiche individuali o di gruppo possano risultare fondamentali per la buona riuscita dell’intervento clinico». Nello stesso ambito si colloca il progetto NeuroGAP, presentato la scorsa settimana, che ha come obbiettivo la creazione di una rete nazionale e istituzionale di ricerca sul “gambling” e per l’attivazione e la promozione di studi sul gioco d’azzardo nell’ambito delle neuroscienze, delle scienze del comportamento e sociali.