“Questo libro sulla ludopatia crea indipendenza”
(Articolo di Paola Pierdomenico tratto dal sito http://www.tusciaweb.eu/2014/06/libro-ludopatia-crea-indipendenza/ del 16 giugno 2014)
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Viterbo – “Questo libro sulla ludopatia crea indipendenza”.
Un viaggio nel mondo del gioco d’azzardo, delle slot machine e della criminalità organizzata. A intraprenderlo è la Iena Nadia Toffa che, spesso nei suoi servizi in onda sul programma di Italia 1, si è occupata di temi scottanti.
L’interesse per la ludopatia nasce per caso dopo aver visto che un uomo alle 9 di mattina aspetta l’apertura del bar e non per fare colazione. Ma per catapultarsi davanti alla macchinetta e iniziare a giocare.
“Quando il gioco si fa duro” è l’opera che presenterà il 2 luglio alle 19 a Caffeina in piazza del Fosso. I veri duri, per lei, sanno quando è il momento di dire basta.
Quando e come inizia a interessarsi di ludopatia? “Tre anni e mezzo fa coi servizi alle Iene – dice Toffa -. Mi trovavo ad Ancona e verso le 7 di mattina mi sono messa davanti a un bar per aspettare che aprisse. Fuori con me c’erano una decina di persone che appena sono entrate non si sono dirette verso il bancone, ma sul retro. Mi sono chiesta il perché e, con il mio caffé in mano, ho visto qualcosa che non mi era nuovo e cioè persone che giocavano alle macchinette. Mi sono fermata a guardarle”.
E cosa è successo? “Mi chiedevo perché una persona dovesse puntarsi la sveglia alle 6 per andare a giocare al bar all’orario di apertura. L’ho domandato a uno di loro che mi ha detto di aver giocato fino alla sera prima e che dentro quella macchinetta, c’erano i suoi soldi, che non poteva lasciare lì. Sarebbe andato fuori di testa se qualcuno, infilandoci due euro, li avesse vinti”.
Che ha pensato dopo quella reazione? “Ho iniziato a pormi delle domande sulla malattia, cercando di interagire coi giocatori stessi. E’ stato difficile perché in queste sale non si parla e non c’è convivialità. Ho considerato l’argomento dal punto di vista economico per il pazzesco giro d’affari di circa 85 miliardi all’anno che ci sta dietro. Non manca una riflessione sociale su quanti e quali sono i giochi nuovi e le loro probabilità di successo. Quindi gli aspetti politico e psicologico”.
Ha, dunque, approfondito aspetti non considerati nei servizi televisivi? “Assolutamente sì. La tv è sintetica e deve essere fruibile in modo veloce. Un servizio dura una ventina di minuti e bisogna selezionare gli elementi da proporre. Il libro è diverso”.
Quando trova il tempo di scrivere? “Di notte. Ho iniziato in ottobre, proprio nel pieno della produzione delle Iene per cui il tempo era davvero poco”.
Quali sono i giochi che vanno per la maggiore? “Slot machine e video lottery. Se vedessimo il giro d’affari come una torta, più della metà è in mano a queste due categorie che valgono 22/23 miliardi l’una. Subito dopo c’è il gioco online, i gratta e vinci e tutta la rete delle lotterie”.
Lo Stato che fa in tutto ciò? “Pubblicizza il gioco che troviamo ovunque, in tv, nelle radio, sui giornali e nei cartelli. Solo nell’ultimo anno sta iniziando ad affrontare la tematica in maniera diversa, il gioco però è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo assistito alla maxi multa ai concessionari delle slot machine per i danni causati dal gioco d’ azzardo che è passata da 98 miliardi di euro a 611 milioni. Lo Stato è carente nell’informazione sui rischi e invece dovrebbe fare delle campagne di sensibilizzazione, partendo dalle scuole per arrivare agli adulti. Il costo sociale è alto e il giocatore patologico si ritrova ad avere dei debiti che lo conducono nelle mani degli usurai. La cittadinanza deve capire che non è così facile vincere. Inoltre, c’è troppa accessibilità al gioco e poca alle cure, quando invece dovrebbe essere il contrario. Non si devono infine mischiare le dipendenze”.
Cosa intende? “Se un giocatore patologico incontra un eroinomane, la sua reazione sarà quella di sminuire la propria condizione pensando di non essere messo poi così male. Valutiamo il malessere in base allo stato fisico e le dipendenze da gioco non lasciano segni tangibili sul corpo. Mescolarle, dunque, è controproducente e servono punti specializzati a cui rivolgersi, come i sert, per superare certe condizioni. Purtroppo non ce ne sono”.
Chi è il giocatore tipo? “L’identikit è cambiata negli ultimi anni. Prima, erano principalmente uomini, ora, invece, ci sono anche le donne, perché sono cambiate le modalità di gioco. Loro preferiscono il gratta e vinci o il bingo perché non c’è un’azione ma è un meccanismo passivo in cui basta sedersi e grattare. Con Internet, inoltre, molti ragazzini sono a rischio. Sono un milione e 200mila i minorenni che giocano d’azzardo, di questi 700mila sono sotto i dieci anni”.
Come è possibile? “Le nonne o le mamme fanno grattare i biglietti ai bambini. Bisogna invece educarli al contrario. Con la crisi poi si gioca di più e sono tanti i disoccupati che lo fanno perché hanno più tempo e cercano, con pochi euro, di svoltare. Questa gente parla di gioco d’azzardo come fosse un investimento e non smette. Negli ultimi anni, dal 2004 a oggi, il giro di affari è aumentato di 60 miliardi”.
Delle testimonianze che ha raccolto quale l’ha colpita di più? “Quella di Sara, una ragazza modello, laureata in Medicina e molto giovane. Per caso, è entrata in contatto con il gioco, dopo che gli amici le hanno regalato una vacanza al casinò a Montecarlo per la laurea. In seguito a quell’esperienza ha scoperto il gioco online e non riuscendo più a smettere ha creato un debito pazzesco sulla carta di credito del padre. Per recuperare il denaro, ha iniziato a prostituirsi in rete con le webcam. Da una dipendenza è passata a un’altra”.
Si può morire di gioco? “Certo, e i giornali ce lo dimostrano. Anche gli psicologi Croce e Guerreschi, che sono luminari del gioco d’azzardo patologico, sostengono che si può morire e si può uccidere per gioco. E’ una morte diversa da quella dell’overdose perché è indotta. Secondo i medici, quando si tocca il fondo, ci si trova di fronte a due scelte: o ti fai aiutare o ti ammazzi”.
Come si riesce a dire basta, se ci si riesce. “Ci si riesce grazie a un percorso in cui prima si interviene e meglio è. Fondamentale è il sostegno della famiglia che può indirizzare verso la cura. Nel libro, ho inserito un decalogo sulle cose da fare e non, e l’ho rivolto a chi, per un motivo o per l’altro, si troverà ad avere a che fare con un giocatore patologico. Si tratta di consigli pratici perché spesso siamo tentati a fare delle cose che sono del tutto sbagliate, come pedinare e sbugiardare il giocatore o minacciarlo di toglierli qualcosa o qualcuno. La nostra società sottovaluta il gioco d’azzardo, perché lo vede come un vizio quando un vizio non è. Quando una persona è monoreddito e gioca tutto nelle slot machine semplicemente non si rende conto della realtà. E’ malato e perde la cognizione dei soldi e del loro valore”.
Qual è il messaggio del suo libro. “Quel libro può creare indipendenza – ironizza -. Le persone devono conoscere i rischi e i meccanismi del gioco. Non sono proibizionista o contro il gioco d’azzardo, ma di certo deve esserne limitata l’accessibilità rieducando le persone rispetto al consumo di certe attività”.