«In pullman sì, ma al congresso Acat»
(Articolo di Paola Dalli Cani tratto dal sito www.larena.it del 07 maggio 2014)
«Le famiglie non possono far bere in casa anche prima dei 16 anni, lo stile di vita va ripensato»
A Jesolo in pullman, ma al congresso nazionale dell’Acat. La proposta la butta lì Katia Tobin, presidente dell’Associazione dei club alcologici territoriali dell’Est veronese, costituita da 18 club distribuiti su 25 comuni. «Facciamoli per questo appuntamento, gli autobus», dice Tobin, «magari è l’occasione per sentire dalla viva voce dei protagonisti a quali tragedie conduca l’alcol. I ragazzi hanno dei problemi? Vero, naturale con la crescita, ma chi sta loro a fianco e ne diventa il leader non può certo credere di aiutarli fornendo loro alcol illimitato». «Facciamo i pullman», incalza Tobin, «anche perché casualmente il tema del congresso nazionale sarà: Alcol e ricerca della felicità. Se si vuole salvare la vita dei ragazzi si fa così, non si garantisce un’andata e ritorno a zero rischi patente e sballo libero pensando di non avere alcuna responsabilità sul consumo di alcolici». Tobin da 12 anni è impegnata nella struttura dell’Acat: ha visto e accompagnato verso l’uscita dall’incubo centiniaia e centinaia di famiglie. «Perché l’alcol non è il problema di un singolo individuo, ma di una famiglia intera», spiega. L’età media delle persone seguite è tra i 30 ed i 40 anni, «ma se pensiamo che ci vogliono anche 10 anni prima di riconoscerlo come problema, si può avere il quadro esatto della situazione: per questo bisogna agire e agire subito». Tobin è sdegnata: «si usa e si fa mercato della fragilità dei ragazzi, pur di far soldi si gioca con la pelle della gente. Il problema non si risolve né con i pullman, tanto più che scesi dal bus vorrei sapere come tornano a casa i ragazzi, né con il guidatore sobrio: qui si sta lavorando per formalizzare l’idea che i più giovani non sanno divertirsi senza alcolici, senza alterazione. Io non ci credo». Serve, secondo la presidente Acat, «un lavoro a 360 gradi, che parta dalla famiglia, si estenda alla scuola, poi alle parrocchie, alle associazioni, a tutto il territorio». «Non è ammissibile che in alcuni circoli Noi ci siano bevande alcoliche a disposizione», sbotta. «Si deve lavorare sullo stile di vita, serve un progetto chiaro e condiviso. Insomma, è vero che l’alcol dà disinvoltura, coraggio, euforia. E allora? Dove sta scritto che questi effetti si possano trovare solo attraverso l’assunzione di questa sostanza? Non è vero che è questo che chiedono i ragazzi, forse questo è ciò che si offre loro. E dunque deve essere un lavoro di tutti, a cominciare dai sindaci che sono i primi promotori della salute dei cittadini». Serve il coraggio dell’alternativa, quello con cui far diventare di moda eventi che siano completamente analcolici. Oggi Acat segue una decina di famiglie per club: fanno 180 famiglie: «Sono solo una piccola percentuale del fenomeno reale», riprende Katia Tobin, «aiutiamoli davvero i ragazzi, con il dialogo e l’impegno: le cadute possono esserci ma si superano se la famiglia c’è, se c’è un tessuto, una rete di salvataggio che impegna tutti. La felicità non può essere contenuta in tanti bicchierini di cocktail colorati da miscele micidiali, che tra l’altro fanno arrivare molto prima il coma etilico».