Morire di gioco d’azzardo. Fino a dove vi può spingere la dipendenza?
Articolo tratto dal sito http://www.giornalettismo.com/archives/1439583/le-iene-e-la-piaga-del-gioco-dazzardo/ del 03/04/2014)
Nella puntata de Le Iene andata in onda ieri sera su Italia 1, Nadia Toffa si è occcupata della piaga del gioco d’azzardo. Giusy racconta la storia di Maurizio, suo nipote di 42 anni separato con 3 figli che si è tolto la vita impiccandosi perché non aveva più soldi in quanto se li giocava tutti, arrivando a non averne più nemmeno per comprare il cibo.
IL DEMONE DEL GIOCO – In Italia vi sono 800 mila dipendenti di gioco d’azzardo che si bruciano lo stipendio fino ad arrivare a compiere gesti estremi. Maurizio cominciava a giocare già elle 7 – 7:15 arrivando a spendere 2- 300 euro già in mattinata. Era al corrente del suo problema e continuava a scrivere una serie di status su Facebook in cui esprimeva il suo disagio. Prima di togliersi la vita ha scritto degli sms ad amici e parenti, per esempio al sua datore di lavoro ha chiesto di prendere suo figlio a lavorare al posto suo. Al figlio ha chiesto scusa. Maurizio aveva sconfitto un tumore, mentre non ce l’ha fatta a sconfiggere la malattia del gioco. Cesare Guerreschi, psicologo e fondatore Siipac, sostiene che per il gioco si può arrivare anche ad uccidere. Racconta di un contadino di 48 anni che si era «mangiato fuori tutto, gli era rimasta solo la casa intestata alla figlia, che poi si è giocato ed ha perso. Ha quindi chiesto alla figlia di cambiare intestazione, la figlia ha detto di no e quindi l’ha buttata giù dal terzo piano. Una madre di 23 anni aveva partorito da 5 – 6 mesi e si era resa conto che il bambino non respirava più: il motivo era perché non aveva il tempo di comprargli da mangiare. Racconta anche di una ragazza che si prostituiva fuori da un casinò per poi andare a giocarsi i soldi guadagnati con il suo corpo.
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AIUTARE I GIOCATORI – Guerreschi racconta che un giocatore è come un alcolista: se smette non potrà mai più giocare in tutta la vita. Per curarsi un giocatore ci mette dai 3 mesi ai 2 anni e per aiutare queste persone non bisogna mai puntare loro il dito contro. Il gioco dà crisi di astinenza simile a quelle che provano i tossicodipendenti. Per convincere una persona a farsi curare è meglio creare un rapporto di fiducia basato sulla sincerità. Andrea è un ragazzo di 28 anni di Latina che a 20 anni ha iniziato a giocare a poker sul computer. Racconta di essersi giocato 300 – 400 mila euro che guadagnava spacciando cocaina, si è quindi rivolto a degli strozzini che gli hanno prestato 150 – 200 mila euro con interessi del 20% al mese. Racconta che vi erano dei meccanismi nel cervello che non gli permettevano di staccarsi dal computer e che i suoi genitori lo hanno aiutato ad arginare le perdite economiche, ma poi lui si giocava tutto di nuovo, per poi andare a ribussare alla loro porta e chiedere altri soldi. Ha deciso di curarsi per perché si era reso conto che la sua vita consisteva nel dormire e giocare, «era una me*da».