“Nek nomination”, anche i coratini si sfidano a colpi di drink. L’Oasi 2: «State in guardia»
(Articolo di Marianna Lotito tratto dal sito http://www.coratolive.it/news/Attualit%C3%A0/272254/news.aspx del 10 marzo 2014)
Si tratta di un gioco tanto semplice quanto pericoloso, una specie di “catena di Sant’Antonio” basata su “bevute alla goccia”. In Inghilterra e in Irlanda ha già mietuto due vittime, due ragazzi di 19 e 22 anni.
“Bevi e nomina chi vuoi sfidare a fare altrettanto”. Nell’intervista ad Antonella De Benedictis, responsabile della comunità Oasi 2, i pericoli del fenomeno, l’analisi e la situazione cittadina.
Il fenomeno “Nek nomination” è arrivato anche a Corato. E’ nato in Australia ma ha impiegato pochissimo tempo per raggiungere anche il resto del mondo. Si tratta di un gioco tanto semplice quanto pericoloso, una specie di “catena di Sant’Antonio” basata su “bevute alla goccia”. In Inghilterra e in Irlanda ha già mietuto due vittime, due ragazzi di 19 e 22 anni.
Innescare il gioco purtroppo è semplicissimo: basta condividere su Facebook un video in cui il protagonista beve e “nomina” qualcun altro affinché in 24 ore faccia la stessa cosa.
Ma cosa si nasconde dietro un fenomeno di questo genere e quali sono i pericoli in agguato? Ce lo racconta Antonella De Benedictis, responsabile della comunità terapeutica Oasi 2.
«E’ una delle tante espressioni virali che testimoniano la forza contagiosa dei social network e l’assoluta vulnerabilità delle persone», spiega.
«Dare buoni consigli serve a poco. E’ necessario invece ascoltare cosa percepiscono i giovani e parlare di questa come di tutte le problematiche legate all’uso di alcol, e in generale, delle sostanze stupefacenti. Le nuove generazioni hanno bisogno di riappropriarsi della capacità di vivere e condividere le proprie emozioni. Nei percorsi di prevenzione che facciamo nelle scuole abbiamo dovuto cambiare notevolmente il nostro approccio rispetto agli anni passati. L’arringa su rischi e pericoli non ha più effetto sui ragazzi.
Loro non sono più abituati a parlare in prima persona e ad ascoltare gli altri. Abbiamo notato che racchiudono ciò che provano essenzialmente in due brevi frasi: “mi dà fastidio” e “sto tranquillo”. Nel primo caso fanno riferimento alla sfera emotiva della rabbia o della noia. Nel secondo alla felicità, alla sorpresa. I ragazzi hanno bisogno di capire che ci sono diversi modi di stare in relazione con gli altri. Che si può essere se stessi, accolti e ascoltati così come si è. Senza aver bisogno dell’alcol per disinibirsi».
Stando alle statistiche l’alcol miete più vittime della droga. Perché?
«Perché a parte le malattie derivate dall’abuso di alcol, vanno considerati tutti gli incidenti derivati dalla guida in stato di ebbrezza. La più grande differenza tra droghe e alcol sta nel fatto che quest’ultimo è molto più tollerato, fa parte della nostra cultura. I genitori si arrabbiamo molto più per una dose di droga che per una sbronza. Basta fare un giro in centro la sera per rendersi conto del consumo di birre e di alcolici in genere. Si beve prima di tutto perché “è piacevole”, “si prova gusto”. Serve per stare in gruppo e passare la serata».
Il rapporto con l’alcol cambia con l’età?
«Decisamente. Quasi sempre quando sono gli adulti a fare abuso di alcol significa che nascondono un disagio profondo. Quando si tratta di uomini può generare comportamenti violenti. Spesso l’alcol subentra in sostituzione degli stupefacenti e conduce verso una dipendenza da cui è molto difficile venir fuori.
Se si tratta di donne invece l’alcolismo prende tutt’altro significato. E’ spesso una via di fuga, magari per casalinghe che vivono la vita che non vorrebbero. Quelle sono le situazioni meno conosciute, che si trasformano in assoluti deserti di solitudine in cui al piacere di bere insieme agli amici si sostituisce solo la volontà di dimenticare la propria reale situazione».
C’è qualcosa che accomuna tutti questi profili?
«Certo. A prescindere dal sesso, dall’età, dalla condizione sociale, in tutti i casi c’è il bisogno di essere “guardati” ed ascoltati. C’è la necessità di vedere riconosciuta e accettata la propria esistenza e i propri limiti».
Era all’oscuro di tutto questo una delle ragazze coratine che ha messo on line un paio di video per “Nek nomination”. Ben lontana dalle dinamiche di abuso di alcol, ci ha detto: «Non sapevo che il gioco si chiamasse così e che fosse una moda. Pensavo fosse una cosa nata tra i miei amici.
La prima volta che sono stata nominata ho bevuto un bicchiere di birra: sono stata allo scherzo dei miei amici che sanno che ne odio il gusto. La seconda volta, scoperto il gioco, ho finto di bere un bicchierone di vodka. In realtà era acqua: l’ho fatto per parodia a questa moda stupidissima. Non avevo alcuna intenzione di rischiare il minimo dolore di stomaco e tanto meno un coma etilico. Chi mi conosce sa benissimo che non lo avrei mai fatto, non ci sarei mai riuscita».
«Quando la professoressa non mi guarda io non riesco a dire la lezione»: qualche giorno fa una ragazza ha esordito così durante un incontro a scuola tra studenti e operatori di Oasi 2. In queste semplici parole ci piace leggere la richiesta di ascolto vero, reale, concreto e sensibile di cui tutti siamo portatori, più o meno sani.