Alcol e giovani, di nuovo c’è soltanto il web
(Articolo di Michela Dell’Amico tratto dal sito http://www.wired.it/lifestyle/salute/2014/03/04/alcol-e-giovani-di-nuovo-ce-soltanto-il-web/ del 04 marzo 2014)
Ognuno di noi si metta una mano sulla coscienza: a che età vi siete ubriacati la prima volta? Tra i 14 e i 16 anni, immagino, esattamente come accade oggi. L’ultimo allarme in fatto di alcol e giovanissimi è preoccupante: leggo che cominciano a 11 anni, a 16 vanno di cocktail, poi c’è Facebook che li istiga alla mattanza, e ben 500mila sono a rischio di morire ogni fine settimana, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità.
Personalmente, mi sono ubriacata la primissima volta insieme a mia madre, nel lontano 1986, quando, a nove anni, lei pensò fosse giunta l’ora di farmi assaggiare due sorsi del vino novello del nonno. Finimmo abbracciate a ronfarcela nel lettone alle 4 di pomeriggio, e la ricordo come una cosa tenera e mediamente folle. Ora, può benissimo darsi che la cosa mi abbia causato danni cerebrali irreparabili, e sicuramente sarà stato così anche per le prime sbronze insieme agli amici, puntualmente realizzate intorno ai 15 anni. Certamente ho guidato ubriaca appena compiuti i 18, qualche volta mi è capitato di star male e una volta sono anche svenuta. Poi basta: come dice il mio amico barista, poi sono diventata grande. Perché anche se oggi ci sono più sondaggi, più media e più social media, non è detto che molti dei fenomeni – sbagliatissimi e dannosi per la salute – che bene o male ci sono sempre stati, non è detto, dicevo, che questi fenomeni debbano diventare fenomeni irreparabili che stanno per catapultare l’umanità nel baratro dell’auto-annichilimento. Anche perché quando io ero giovanissima non se ne parlava certo quanto oggi, e guidare brilli – ad esempio – era una pratica socialmente accettata.
Detto questo, è evidente che non si possa abbassare la guardia, e che è fondamentale parlare ancora di più ai giovani e ai giovanissimi, per diffondere ancora di più quella consapevolezza che era infinitamente meno diffusa ai tempi di mia madre. Scuola e genitori dovrebbero controllare e istruire, se è vero come è vero che il 17% delle intossicazioni da alcol riguarda ragazzi tra i 13 e i 16 anni. Ma sinceramente non credo che questo sia l’anticamera della perversione e dell’alcolismo e la mia esperienza di insegnante (anche in scuole di “quartieri difficili”) me lo conferma. I ragazzi di oggi non sono molto diversi dai ragazzi di ieri: forse più precoci (nel bene e nel male), sicuramente più svegli e stimolati, sicuramente e per fortuna più liberi e responsabilizzati, ma non direi proprio più irresponsabili. Anzi, è vero il contrario. Ma restano sempre ragazzini, e che giochino a spaccarsi la testa fa un pochino parte dell’ordine delle cose, in tutti i Paesi del mondo e in ogni epoca. Per la mia esperienza, sono stati loro a spiegarmi che cos’è “il gioco della nominazione”, o “Neknominate”, il drink game diffuso da Facebook, in cui in genere si beve “alla goccia” un’intera bottiglia di alcolici. “Devi bere della birra tutto in un sorso – mi ha detto Steven, 15 anni – poi devi nominare le prime tre persone che ti vengono in mente. Così, a caso. E poi quelle persone devono rifare la stessa cosa entro 24 ore e pubblicare i video su Facebook”. Io non credo di aver fatto parte di una gioventù particolarmente bruciata, anzi, ma se togli Facebook e togli Youtube, ricordo di aver fatto esattamente la stessa cosa. Ammetto che Steven è un ragazzo particolarmente brillante, ma il suo commento a tutto ciò è stato: “I ragazzi dovrebbero sentirsi in dovere di fare le cose solo quando si è pronti, e non perché ci si sente piccoli”. Puntualizzo che Steven è nato e cresciuto a Quarto Oggiaro, ovvero in quella che è considerata la peggiore periferia milanese. “Ogni tanto mi piacere bere – continua -, e bevo anche tanto, due o tre birre a sera, ma solo quando vado in discoteca o a una festa”. Per carità, ripeto: il problema esiste e non voglio certo nasconderlo. Quello che voglio dire è che tanti di questi ragazzi descritti come “perduti” sono invece spesso consapevoli, e affrontano una questione come l’alcol in modo più maturo di quanto feci io alla loro età. “Una ragazza della mia classe ha provato a bere perché era depressa per questioni di cuore – mi dice Karen, 14 anni. Il giorno dopo stava malissimo, l’ha passato in bagno a vomitare. Però lo fa ancora… e anzi, alcune volte va a consigliarlo in giro. Io non l’ho mai fatto perché sinceramente ho paura. Ho paura proprio di dimenticare, e di non sapere poi cosa ho fatto o detto: mi sembra terribile”.
“Certo che i baristi dovrebbero controllare l’età, e io lo faccio sempre. Ma non serve a molto”. Giuseppe è barman da oltre 10 anni, e di ragazzini che bevono ne conosce tanti. “Non cambia nulla perché se hanno meno di 16 anni comprano alcol al supermercato, magari alla cassa mandano un amico più grande, e comprano vodka, perché costa meno e sballa di più”, mi dice. “Mandano a comprare quelli che ‘sembrano’ più grandi – precisa Caterina, 15 anni -. Quando me lo hanno raccontato, la cosa che mi ha scosso di più è stata questa frase: “Penso che questi possano bastare. Poi mia madre ce ne prende altri“. Ecco, per la mia esperienza questa madre è il caso limite, l’eccezione, che conferma quanto sia importante conoscere le conseguenze dell’alcol su un corpo immaturo.
Io credo che, accettata la fisiologica tendenza dei giovanissimi a provare tutto, compresa l’auto-distruzione, ciò che si possa fare è difenderli dall’esasperazione del niente a cui i giovanissimi vengono sottoposti ogni giorno, dall’esportazione e dall’esaltazione della mediocrità: che provenga dai programmi vuoti della tv o dai vari car surfing o neknomination del web, e per fortuna tante scuole e tante famiglie sono bravissime a farlo: certamente molto più brave di una volta, nonostante tutto.