“Volevo salvarlo, ma ero diventata la sua schiava”
Un manifesto contro la violenza sulle donne
Vedendo il suo volto sbarazzino e i vivaci occhi azzurri è difficile darle più di 22-23 anni. Invece Martina ne ha già 30, è una donna. Ma è come se nei sette anni di paura, dipendenza psicologica e violenze subite da Marco, l’«amore malato», la sua vita si fosse fermata. L’aveva conosciuto a 14 anni, quel ragazzo con un passato difficile (orfano di padre giovanissimo) e un presente fatto di alcol e droga, e ne era rimasta affascinata. Finché, a 17 anni, se ne era innamorata e aveva deciso di salvarlo. A qualsiasi costo. Anche a quello, evidentemente, di perdere la propria libertà e la dignità. Com’è iniziata la storia con Marco? A 17 anni ci siamo fidanzati, ma la mia famiglia ostacolava questa relazione. Io ero talmente testarda che avrei fatto qualsiasi cosa per stargli vicino, così, anche se andavo ancora a scuola, appena maggiorenne ho rotto i ponti con i miei e me ne sono andata di casa. Mentre pedalavo verso la sua casa mi sentivo padrona del mondo. Invece, in qualche modo, sono divenuta schiava. Quando sono iniziate le difficoltà? Senza che me ne rendessi conto Marco mi ha isolato del tutto dalla famiglia e dagli amici, che non condividevano questa relazione, per lui ho lasciato anche la mia passione, la danza. C’eravamo solo io e lui. Dopo pochi mesi sono cominciate le liti e le percosse, ma io ero talmente innamorata che non riuscivo e non volevo reagire, tantomeno denunciare: quando non beveva era dolce, piangendo si pentiva e mi giurava che non l’avrebbe più fatto. E io credevo che non potesse farcela senza di me. Finché il vortice della violenza è diventato insostenibile… Una sera i miei genitori mi hanno trovato con gli occhi lividi, il volto insanguinato, ecchimosi, sangue che mi usciva dalle orecchie, in preda al panico. Ho passato una notte al pronto soccorso, ma al mattino sono tornata da lui, nonostante tutto. I miei vivevano nell’angoscia che potesse uccidermi e hanno sporto denuncia. Io per questo li odiavo. Marco, quindi, passava dei periodi in carcere ma quando usciva ero sempre lì ad aspettarlo: ero convinta che lo avrei cambiato. Mai provato a fuggire mentre ti picchiava? L’istinto di andarmene c’era e qualche volta ci ho provato, ma i miei tentativi morivano sul pianerottolo, con lui che mi riprendeva per i capelli. Finché una volta mi sono ritrovata davanti allo specchio: non riuscivo a riconoscermi, ero talmente gonfia in volto che non riuscivo a piangere, solo una lacrima mi bruciava come fuoco. Così mi sono convinta che dovevo chiedere l’aiuto di una psicologa. Oggi mi sembra impossibile aver accettato per anni quella che era a tutti gli effetti schiavitù. Ma evidentemente per uscirne dovevo capire da sola il vero valore di me stessa. Oggi come stai? Di notte ho ancora qualche incubo, ma sto bene e ho ritrovato i miei genitori: lavoro con loro e li amo come non mai.