Se ti picchia non ti ama Cambiamo la cultura
(Articolo di Elisa Pasetto tratto dal sito www.larena.it del 26 novembre 2013)
Una donna su tre in Italia vive con un compagno «carnefice» che la maltratta e la umilia, ma il 93 per cento non denuncia.
Un paio di scarpe su un foglio con il nome di una vittima durante il flash mob contro i femminicidi in piazza Bra’
«Quanto caldo vorrà il caffè stamattina? Gli andrà bene o rovescerà la tazza sul letto, insultandomi e picchiandomi come al solito?». È il risveglio di un giorno qualunque, per una donna maltrattata. Una di quelle che, invece che affrontare la vita col sorriso, sono costrette a elaborare quotidianamente una «strategia di sopravvivenza» per non soccombere, calpestate da chi dichiara di amarle. Come Chiara, due figli, sposata con un insegnante, un insospettabile. Che di giorno, a scuola, è un esempio per i ragazzini ma di sera diventa un«carnefice»: «Schiaffi, pugni, calci per delle sciocchezze: la prima volta fu perché una mattina sono andata dal parrucchiere, ho fatto tardi e non gli ho fatto trovare il pranzo pronto». Una realtà che spesso emerge solo quando finisce in tragedia. Invece in Italia, nel 2013, la vive una donna su tre. Ecco perché ieri, nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne, Prospettiva Famiglia, rete di agenzie educative del territorio, insieme all’Aiaf (Associazione avvocati di famiglia), ha voluto mostrarla a 700 ragazzi delle scuole superiori riuniti per una mattinata alla Gran Guardia, condotta dalla giornalista de L’Arena Elena Cardinali: «Perché le donne meritano rispetto, dignità e libertà», ha esordito l’assessore comunale alle Pari opportunità, Anna Leso. «E perché se l’educazione alla relazione va coltivata dalla nascita in famiglia, la scuola può dare il suo contributo, testimoniando il rispetto per l’altro», ha aggiunto Daniela Galletta, coordinatrice di Prospettiva Famiglia. Quel rispetto che se ne va in frantumi quando l’amore, in una coppia, si capovolge e diventa solo possessività. È allora, come ha dimostrato «Una su tre», la docu-fiction di Nerina Fiumanò proiettata davanti ai ragazzi, che si innesca il «ciclo della violenza», spiega Tecla Pozzan, psicologa, «che parte dalla tensione per sfociare nell’aggressione verbale o fisica e continuare con le scuse del partner, che giura che non si ripeterà e cerca di farsi perdonare con premure e regali. Un uomo con due facce, che lascia la compagna confusa, bloccata dalla paura e dalla vergogna, ma anche speranzosa che non si ripeterà. Invece quasi sempre si ricomincia, in una spirale senza fine». Perché la violenza domestica è un fenomeno trasversale al contesto economico e culturale. Purtroppo, raramente viene a galla, tanto che il 34 per cento delle donne che in Italia subisce violenza non ne ha parlato con nessuno e il 93 per cento non denuncia, pensando in qualche modo di averla provocata o che sia sì uno sbaglio, ma non un reato punibile con una condanna da uno a cinque anni di prigione. «Per combattere la violenza di genere non basta la tutela penale garantita dalle leggi nazionali o dalla convenzione Onu del 1979, ma deve cambiare la cultura con un mutamento profondo del modo di pensare», afferma l’avvocato Sabrina De Santi. «Come? Possiamo partire da ognuno di noi, riflettendo sui pregiudizi che abbiamo oltre che imparando a distinguere nettamente tra amore e possessività, tra passione e gelosia».