Se lo Stato fa il biscazziere
Un Paese che azzarda a caccia di soldi.
Se lo Stato fa il biscazziere
08.09.2013
L’impero del gioco d’azzardo legalizzato affonda le sue radici negli anni Ottanta, quando le prime slot, ancora artigianali, viaggiavano all’ombra dei giostrai o al seguito delle fiere. Poi, a fine anni Novanta, con l’arrivo dei famigerati videopoker, il settore finisce per alimentare un fiume di guadagni, gestiti spesso dalla criminalità e nel pieno Far west delle regole. Basti pensare che i gestori di queste macchinette mangia soldi pagavano le imposte alla Siae, in quanto assimilati agli spettacoli viaggianti. La svolta avviene nel 2000, con il condono sulle slot inserito a sorpresa, e sotto la spinta delle lobby, in una Finanziaria e firmato da Giulio Tremonti. L’allora ministro dell’Economia, sempre a caccia di quattrini per far fronte al fabbisogno, sana il pregresso, mette fuori legge i videopoker e istituisce il sistema delle concessioni che di fatto legalizza il gioco d’azzardo. Così l’erario, attraverso i Monopoli, mette all’asta le licenze per migliaia di slot machine in cambio di un cospicuo guadagno. Il meccanismo è semplice: il 75 per cento delle giocate viene destinato alle vincite, e il restante 25 viene diviso, fifty-fifty, fra il Tesoro e i concessionari. Lo Stato, in sostanza, si trasforma in biscazziere, vincendo ogni volta che un giocatore fa una posta. I concessionari, invece, si trasformano nella terza industria del Paese. Un giro di affari che nel 2013 supera i 100 miliardi di euro e porta nelle casse dello Stato un guadagno netto di circa 13 miliardi. Le città si trasformano in enormi casinò, le slot si moltiplicano così come gli affari. Entrano sul mercato macchine sempre più sofisticate e si affaccia il grande business del gioco on line. Lo Stato vende profumatamente ai concessionari nuove licenze per far cassa e risolvere i suoi problemi finanziari. Sull’altro fronte, però, proprio le dimensioni del mercato e la sua espansione (l’Italia è al primo posto in Europa nel settore) pongono una serie di problemi sociali non irrilevanti. Famiglie sul lastrico, adolescenti presi della febbre del gioco, gente disperata assorbita dal vizio. La cronaca è piena di casi, anche drammatici. Per questo sarebbe ingiusto, oltre che sbagliato, liquidare lo scivolone del governo sulle slot machine (con il sì alla mozione della Lega che vieta l’apertura di nuove sale per un anno) come un semplice incidente di percorso. Le preoccupazioni del ministero dell’Economia, che lamenta un possibile buco da sei miliardi nelle casse dello Stato, sono comprensibili. Ma non si può sottovalutare il fatto che almeno tre milioni di italiani siano a rischio ludopatia, la nuova malattia da dipendenza del gioco che solo recentemente si è conquistata un piccolo spazio fra le patologie da curare anche attraverso il sistema sanitario nazionale. La lobby del gioco è potente, ha dalla sua un settore che macina profitti e dà lavoro a oltre 200mila persone. Ma la mozione della Lega può diventare l’occasione per allontanare la tentazione dello Stato biscazziere di fare cassa ad ogni costo e di definire finalmente regole certe in un settore dove ci sono ancora tantissimi vuoti normativi e pochissimi controlli. Con il paradosso che, se non si corre ai ripari, occorrerà spendere i sei miliardi di incassi proprio per curare l’esercito degli italiani affetti dalla ludopatia.
(Articolo tratto dal sito www.larena.it del 08 settembre 2013)